“I vestiti creano una fantasia, una trama, un modo di pensare: liberando il corpo da essi si rende libera anche la mente”. AdeY
Il corpo non è altro che la continuazione necessaria di ciò che rappresentiamo nel cerchio della percezione degli altri e del proprio sé: una presenza all’interno del reale, riempimento di uno spazio, occupazione di una porzione dell’esistenza condivisa con il resto degli esseri umani. AdeY fa immagine di questo concetto tramite un lavoro fotografico ben studiato ma non necessariamente plastico, i suoi soggetti sono sempre totalmente immersi nella situazione in cui vengono ritratti, semplicemente nudi (laddove quel “semplicemente” sta ad indicare un’intenzionalità che non richiama per forza l’aspetto erotico) in pose talvolta complicate ma non forzate, statiche ma dinamiche al contempo; proprio perché il corpo oltre a “stare” in uno suo spazio si muove per creare esperienze, per avere “commercio” con il resto della realtà. AdeY è un fotografo inglese ormai adottato dalla Svezia, non ha mai rivelato il suo sesso, una scelta di questo tipo è perfettamente coerente con la sua missione artistica: il rigetto totale dell’idea del gender, vista come scelta binaria e forzata tra il maschile e il femminile.
Domanda. Ciao AdeY, a proposito di mondo, la Svezia nel nostro immaginario è sempre stata baluardo di libertà e innovazione. Quanto ha influito sul tuo modo di fare arte la terra in cui vivi e lavori?
Risposta. La cultura svedese ha avuto una profonda influenza sulla mia arte e ha dato alla mia libertà creativa lo spazio che ho sempre bramato.
D. Una cosa che colpisce molto dei tuoi lavori è lo sfondo: sempre molto geometrico, prospettico e spigoloso; come a voler fare da contrasto alle curve dei corpi nudi. Quanto importante ritieni questo sfondo?
R.Sono da sempre stato attratto da ambienti differenti che senti in qualche modo innaturali per essere immersi nel nostro stato naturale. Spesso mi chiedo come siamo arrivati a concepire posti di questo tipo, e come l’essere umano si sia adattato a queste strutture sterili e a queste città in calcestruzzo.
D.Nella maggior parte delle tue foto il viso non è presente o gli si dà pochissima attenzione. Perché una scelta di questo tipo? Come recepisci il volto all’interno della tua arte?
R.Voglio focalizzare l’attenzione sulla comunicazione e sull’espressione attraverso il corpo più che attraverso il viso. Il linguaggio del corpo può dire moltissimo sull’energia, sui desideri e sugli stati emozionali di una persona. Il mio lavoro è in qualche modo una protesta contro le immagini normative della bellezza che si concentrano fortemente sui volti.
D.Prima si parlava di dinamismo dei corpi, di movimento; cosa viene smosso, secondo te, in coloro che guardano le tue foto?
R.Spero che il mio lavoro evochi un senso di curiosità in chi lo guarda, e che rappresenti un’alternativa al modo di percepire il mondo in cui viviamo.
D.Si è parlato dei tuoi lavori con termini come “realismo”. Io non sono totalmente d’accordo, in effetti credo che la parola chiave sia “surrealismo” perché i tuoi soggetti, i tuoi paesaggi, i tuoi corpi danno da pensare ad una sorta di trance, una sospensione del giudizio, una sensazione-limite tra libertà assoluta e costrizione. Cosa ne pensi del corpo? Cosa ne pensi della libertà della nudità?
R.Per molti versi credo che il mio lavoro tratti sia di realismo che di surrealismo; ritraggo soggetti reali ma li avvolgo di una situazione fittizia e talvolta surreale. Quello che davvero mi sembra surreale è che la nudità sia ancora considerata un tabù, da molte persone e da molte culture. I vestiti creano una fantasia, una trama, un modo di pensare: liberando il corpo da essi si rende libera anche la mente.
D.Dal 9 al 18 giugno hai esposto alla foto-biennale di Malmö il cui tema è La società dello spettacolo di Guy Debord: una delle tesi principali è l’avvento del consumismo anche al livello della produzione artistica; l’immagine prolifera sui social, l’uomo moderno è assuefatto allo stupore e, aggiungo io, all’erotismo. In cosa, da questo punto di vista, le tue foto possono fare la differenza?
R.Sì, affronto direttamente alcuni di questi punti di vista non concentrandomi sui volti ma scattando foto nudi. Ho scelto di lavorare con il corpo per contrastare il consumo di massa delle immagini che affrontiamo quotidianamente, immagini che ci dicono come dovremmo guardare, agire, indossare e consumare.
Intervista realizzata per noi da Giovanni Barberio
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