Quando Enrico ha chiamato per dirmi che Apollonia Saintclair aveva accettato un’intervista e che sarei stata io a farla, ho sentito qualcosa di molto simile all’emozione che avrei provato se fossi riuscita a vedere Bowie dal vivo – non dico intervistare Bowie perché lì probabilmente le emozioni sarebbero state così forti da non saperle neanche descrivere al meglio.
Perché tanta emozione? Perché Apollonia Saintclair è una delle poche artiste (o uno dei pochi artisti, ma, lo confesso, il mio desiderio profondo è che sia una donna) capaci di rappresentare in modo diretto e onesto il piacere femminile. Senza pudore alcuno e con tratti profondamente eleganti.
Di Apollonia Saintclair si hanno poche indicazioni biografiche. È comparsa in rete con i suoi ritratti nel 2012, ha dichiarato pubblicamente quanto abbia subito le influenze grafiche di Leonardo Da Vinci, Moebius e Milo Manara, e ha espresso la sua poetica attraverso il motto che è diventato titolo dei suoi lavori Ink is my blood.
La comunicazione di Apollonia Saintclair è astuta, ambigua ed efficace. Anche la scelta di rilasciare le sue opere soprattutto attraverso i canali social Instagram, Behance e Facebook, pur sapendo che la censura è lì pronta a oscurarle, ci appare opera di un’artista che ben sa quanto a volte più la censura agisce, più il desiderio di vedere venga amplificato. E non è questo, forse, un elemento dell’erotismo?
L’ossessione di voler vedere ciò che è celato al nostro sguardo?
Domanda. Quando ho visto per la prima volta le tue immagini ho pensato subito a delle questioni che attengono al gesto artistico, le sue motivazioni, il rapporto che ogni artista ha con il proprio bagaglio di pulsioni. Le donne che raffiguri sono espressione di desideri e incubi, eccitano e inquietano. E il bianco e nero sembra quasi aumentare l’effetto. Come se fosse il mezzo espressivo più adatto.
Puoi parlarci della scelta dell’inchiostro – da te ben espresso con il titolo/motto Ink is my blood – e dell’uso parsimonioso di altri colori?
Risposta. “Eccitare e inquietare” è proprio quello che mi interessa in primo luogo. “Demoni e meraviglie” potrebbe essere una versione alternativa di questo binomio. Io concepisco il mio lavoro come un’avventura personale in territori ancora non esplorati. I miei disegni sono delle mappe in cui entità fantastiche riempiono gli spazi vuoti, invitandoci a viaggiare e avere paura allo stesso tempo.
Questa impresa richiede una forma di rappresentazione
che sia in equilibrio tra realtà e astrazione: se si usa troppo la prima l’immagine diventa “piatta”, perché non lascia spazio all’immaginazione dell’audience, troppa astrazione, al contrario, renderebbe l’opera incomprensibile. Il bianco e nero mi permette di trovare il giusto bilanciamento. La riduzione a due tonalità attiva un livello primitivo del nostro cervello, che viene utilizzato per riconoscere pattern in situazione di scarsa luminosità e creare significato anche con informazioni incomplete. Con il bianco e nero viaggiamo in un posto dove risiedono paure e desideri primitivi, una zona del nostro cervello che si è formata durante l’evoluzione a causa del pericolo e della necessità di riprodursi.
Il mio motto nasce da una semplice osservazione: ho deciso di separare la mia vita privata dal mio lavoro, per cui io esisto per il pubblico solo attraverso i miei lavori, che rappresentano quindi il mio corpo, e di conseguenza l’inchiostro è il mio sangue.
D. So che provieni dalla scrittura, si intuisce la tua affezione per il surrealismo, e la sensazione che mi lasciano le tue immagini è “perturbante”.
Un animale, un demone, un luogo. Perché questi elementi? Qual è il tuo immaginario di riferimento?
R. Hai presente quel tipo di situazione per cui di notte, a letto, ti salgono tutte le tue paure? Quella tendenza a ossessionarsi e a perdere l’orientamento? Quando, piano piano, anche le piccole cose diventano montagne insormontabili e minacciose? Nei miei lavori provo a catturare proprio queste sensazioni: un elemento apparentemente innocuo che diventa ossessivo, il fantastico che irrompe nella vita di tutti i giorni sotto forma di un sentimento, qualcosa di fisico che puoi provare quasi a pelle. Sto ancora cercando quello che mi permetta di suscitare la reazione più intensa che si possa ottenere in questo contesto. Demoni, animali, posti, oggetti: sono tutti totem del nostro passato animista.
D. I corpi femminili sono spudorati. Si impongono allo sguardo e sono soggetti di desiderio. Rendi visibili i desideri più estremi ma non si percepisce quasi mai violenza. La tua estetica è nello stesso tempo astratta e vitale. Come hai trovato questo tipo di equilibrio?
R. Cerco di evitare il piattume della pornografia più diffusa, ma non sono totalmente d’accordo con quello che dici. Io credo che alcuni dei miei lavori possano essere percepiti come estremamente violenti, a seconda di chi li osserva. Infatti sono disegnati per soddisfare interpretazioni radicalmente differenti, per riflettere le nostre proprie proiezioni. Ed è per questo che la censura mi irrita enormemente: perché spesso ricevo critiche da persone che ovviamente non si sono prese la briga di guardare davvero le mie opere e chiedersi cosa ci sia da vedere, cosa esse dicano di loro stessi. Si tratta di persone che guardano solo i valori facciata e si rifiutano di mettere in discussione la complessità della realtà.
D. Il desiderio femminile viene radicalizzato ancora di più nelle immagini dedicate all’autoerotismo, un autoerotismo carico di malizia, mai banale. Anche qui la cosa che mi colpisce è l’equilibrio che hai trovato nel rendere il desiderio completamente esposto. C’è qualcosa di profondamente politico in questo giacché è il desiderio femminile ad essere il soggetto delle tue opere. Hai pensato al fatto che le tue immagini avrebbero avuto questo tipo di impatto sul pubblico? Avevi pensato che se ne sarebbe data una lettura politica?
R. Il corpo femminile è divenuto una delle battaglie simboliche dei nostri tempi, per cui è inevitabile che ci sia una dimensione politica in tutte le sue rappresentazioni. Ma la mia ricerca è puramente artistica. Forse l’equilibrio di cui tu parli è semplicemente l’espressione di un’osservazione rispettosa, priva di pregiudizi grotteschi. Provo a rappresentare le donne e i loro desideri per come li percepisco. È semplicemente la mia visione, non c’è un’agenda politica specifica dietro.
D. Erika Lust ha girato un film ispirato a Ink is my blood. Puoi parlarci di questa collaborazione? Com’è stato dialogare con chi si è ispirata al tuo immaginario? Com’è stato dialogare con un altro mezzo espressivo?
R. All’inizio sono rimasta affascinata da come Erika sia riuscita a prendere possesso del mio universo e trasporlo su pellicola. Ho avuto il privilegio di vedere i miei disegni attraverso gli occhi di qualcun altro, e non di una persona qualsiasi, ma un’artista come me. Non c’è stato bisogno di confronti preliminari, perché Erika ha scritto la prefazione di “Ink is my Blood” e conosce il mio lavoro benissimo. Per questo ho rinunciato a stare sul set, anche perché non volevo interferire con il lavoro creativo di un altro artista. Ho apprezzato il fatto di partire da un film per dare nuove interpretazioni e nuova vita alle mie immagini, attraverso l’animazione.
D. La scelta dell’anonimato ti permette maggiore libertà espressiva?
R. Naturalmente: l’anonimato mi permette di trascendere da me stessa, di rifuggire l’identità che la società impone a ciascun individuo. Rimanere anonima mi permette di liberarmi allo stesso tempo di me stessa e degli altri
D. Quali sono i tuoi prossimi progetti? Hai mai pensato all’animazione?
R. Il progetto con Erika Lust mi ha convinto che sono una creativa piuttosto “laconica”: continuo a preferire il lavoro sulle singole immagini, concentrare un’intera storia in un singolo fotogramma. Quindi, per ora, non penso di darmi all’animazione. Ho in cantiere la pubblicazione del quarto volume di “Ink is my Blood”, che dovrebbe uscire quest’autunno. Sto anche lavorando a due libri di illustrazioni: uno per adulti e uno per bambini; spero di trovare il tempo per finirli, perché entrambi sarebbero quanto di più vicino a una graphic novel abbia mai fatto.
Contatti
Sito: apolloniasaintclair.com
Instagram: @apollonia.saintclair
Shop: apolloniasaintclair.bigcartel.com
Tumblr: studiosaintclair.tumblr.com/
Twitter: @e_sympathique
Traduzione a cura di Alessandro Giannace.
Collabora alla Rubrica senza filtri su «Queef Magazine». È redattrice della rivista Narrandom e dell’agenzia Arcadia b&s di Cosenza. Ha esordito a febbraio con il romanzo Configurazione Tundra (Tunué).