Black lives matter, la protesta degli afroamericani

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In questa settimana impazzano le proteste degli afroamericani e tutti ci saremo imbattuti nello slogan Black Lives Matter (le vite dei neri contano). Dopo l’omicidio di George Floyd, l’America sta letteralmente bruciando. Le proteste si sono propagate da Minneapolis in tutto il Paese. I Trump sono stati costretti ad evacuare la Casa Bianca rifugiandosi in un bunker, da dove il parrucchino più biondo del west può continuare a vomitare distensivi messaggi di odio. Buttate la chiave e levategli twitter! Sta testa de cazzo!

Gli afroamericani erano già emotivamente provati dall’emergenza sanitaria. Infatti, l’epidemia ha evidenziato come la comunità nera, mediamente, abbia più difficoltà nell’accesso alle cure e questo ha portato ad avere un tasso di incidenza del covid molto più alto rispetto ai concittadini bianchi.

Le catastrofi hanno questo brutto vizio, inaspriscono il divario sociale.

In un momento come questo, vedere la lenta esecuzione di George Floyd, 9 lunghissimi minuti di rantolii in cui l’uomo chiedeva pietà al suo carnefice bianco, ha letteralmente sgretolato la diga che conteneva la rabbia sociale della comunità afroamericana.

Black Lives Matter, articolo scritto da Penne in Salsa Gaia sull'uccisione di George Floyd

Ma l’ondata di protesta degli afroamericani non si è fermata all’USA. Facciamo una premessa: in Europa la discussione sul razzismo è quasi sempre sterile e superficiale. Il nostro continente non ha mai fatto i conti con il suo passato coloniale e con gli eventi del primo 900, che hanno portato, come estrema conseguenza, all’apertura dei campi di sterminio. Siamo come quelle persone che vanno dallo psicologo perché sanno di avere un problema, ma non sono ancora nella fase di accettazione. L’Europa è un continente con daddy issues.

Molte persone, soprattutto sui social, hanno affermato candidamente che “Qui la situazione è diversa. Non siamo popoli razzisti. Mica ammazziamo i neri per strada!”. No infatti. Ci mancherebbe. Noi siamo molto più eleganti, li ammazziamo in mare. Poi non devi manco pulire! Morto e mangiato! Qualche fortunato lo ammazziamo anche nei campi.

Noi italiani poi… che te lo dico a fare! Le nostre forze di polizia sono integerrime. “I nostri ragazzi”! Mica abbiamo avuto un caso Cucchi che è andato avanti per tre gradi di giudizio. Mica abbiamo avuto un caso Aldrovandi o i fatti della scuola Diaz.

Noi siamo un popolo civile. Di civili e composti indifferenti. Ma il nazismo mica ha cominciato dai campi di sterminio. È iniziato tutto con l’indifferenza della maggioranza bianca. Bianca, etero e cisgender.

Black Lives Matter, articolo scritto da Penne in Salsa Gaia, illustrazione Cucchi e George Floyd
© Riccardo Marinucci – Instagram: @vignettaru

Noi, comunque, questa settimana vi avremmo voluto parlare di cultura africana. Conosciamo tutti la cultura degli afroamericani ma non sappiamo molto dell’Africa e degli afroeuropei. Come hanno imparato tutti quelli che hanno frequentato un liceo e hanno studiato storia dell’arte, molta della produzione europea moderna ha tratto ispirazione dall’Africa.

Ad esempio, l’arte africana fu fondamentale per quella corrente artistica dei primi del Novecento che prende il nome di “Primitivismo”. Primitivo non è esattamente un complimento ma non erano molto politically correct all’epoca. Diverse mostre di manufatti africani, organizzate nelle principali città europee tra fine XIX e XX secolo, avevano una linea curatoriale rispettosa della diversità e sensibile verso le altrui culture. No scherzo, erano fatte per dimostrare quanto gli africani fossero inferiori e come facessimo bene a civilizzarli con la forza. Devo aggiungere altro? Non credo.

Questa idea diabolica e razzista gli si è rivoltata contro, e l’arte africana ha finito per essere una fonte d’ispirazione incredibile per i più grandi artisti europei. Non solo Picasso, ma anche Matisse, Braque, Derain, Kirchner, Modigliani e tutto il cucuzzaro dell’epoca. Si inaugura così la prolifica stagione della cultural appropriation occidentale, un po’ come Bo Derek la prima bianca a farsi le treccine nel 1979, riassumibile in “se lo fanno i neri è da selvaggi, se lo fanno i bianchi è avanguardia pura”.

Ma gli artisti europei non lo facevano per moda, come quando Kim Kardashian si fa le boxer braids, loro sono riusciti a cogliere la grandezza espressiva di civiltà diverse dalla propria, contribuendo a far sì che tali manufatti venissero considerati “arte” e non esotiche curiosità. Non sarebbe poi una brutta idea se facessimo lo stesso anche con le persone che questa arte africana l’hanno prodotta.

Black Lives Matter, articolo scritto da Penne in Salsa Gaia, illustrazione ragazza afroamericana

Invece, con Adilson, abbiamo parlato della cultura afroeuropea, che non è una lontana cugina di quella degli afroamericani, ma un fenomeno a sé stante che sta crescendo con i migranti di seconda e terza generazione.

Roma è stato il mio equilibrio instabile. Se fino ai 18 anni per lo Stato ho vissuto da extracomunitario, Roma mi ha sempre ricordato di essere prima di tutto romano. […] Il percorso di identità culturale è individuale, ed ognuno è un ibrido della società. Roma è una culla  multiculturale. […] Io non porto solo la cultura di Capo Verde”.

“La cultura capoverdiana ha per base la musica, il ballo ed il popolo stesso. La musica la si può portare senza peso dai propri paesi, creare dal nulla, ed il ballo è la forma di espressione ancestrale che ha sempre unito le persone in ogni paese. Come non abbracciare e apprezzare queste influenze. Rifiutare di accettare la propria identità è il vero ostacolo e non rende visibili alla società le proprie diversità”.

Ma oggi come si vedono i giovani afroitaliani?

“Gli afroitaliani sono presenti e consapevoli cittadini ma ancora visti in maniera confusa nell’immaginario collettivo, perché a tutti gli effetti mediaticamente ancora non siamo rappresentati. L’Italia tuttavia subisce un’influenza afroamericana, ma qui ci sono afroeuropei”!

(Potete trovare l’intervista completa sulla pagina Instagram di @penneinsalsagaia)

Black Lives Matter, articolo scritto da Penne in Salsa Gaia, illustrazione ragazzo afroamericano

Ma quale è la visione che hanno gli europei delle popolazioni che abitano l’Africa? Quanto siamo influenzati dalla cultura degli afroamericani? Siamo liberi da ogni pregiudizio? Vi vogliamo riportare le esperienze vissute da una delle nostre penne, che ha avuto la possibilità di fare dei periodi di formazione in Uganda.

Dell’Uganda ricorderò sempre i suoi contrasti. Il rosso acceso della terra con il verde brillante degli alberi. La maestosità del volo del marabù con il gracchiare incessante dell’ibis. Il sorriso dei suoi abitanti e la rigidità delle sue leggi. L’Uganda è un pullulare di credi differenti. Musulmani, cristiani anglicani, cattolici, mormoni, evangelisti che urlano alle 2 di notte “my God is good”. Sono dappertutto.

Ero a Kampala per un corso di formazione internazionale sulle questioni di genere.

Io ovviamente low profile, tolto lo smalto alle unghie, solo vestiti sobri, nessuna spilletta femminista o rainbow. Al primo impatto, ansia. Era la primissima volta che mi trovavo in un posto dove la mia stessa identità e orientamento sessuale potevano mettere in pericolo me e i miei colleghi.

Prima sera nel continente africano, mi propongo di cucinare degli spaghetti per tutta la ciurma insieme a Cissy, donnona ugandese sulla trentina, amante delle soap opera nigeriane, che subito ci prova con me.
“Sei sposato?”.
(A chiccha, ma te pare?).
“No, in Italia non ci si sposa mai alla mia età”.
“Okay… ma ti piacciono almeno le ragazze?”.
(PANICO!!!)
Sono da sempre stato una persona out and proud, ma per la prima volta mi sono sentito come San Pietro al terzo canto del gallo. Che je dico? E se mo’ questa da de matto? Oddio, ha un coltello in mano…
“Beh, no…”
“Ah, okay, taglia meglio quella cipolla”.

UÈ BELLA…AH OKAY?! SOLO?! Io già immaginavo la mia foto sulla prima pagina di Libero con un titolo sia omofobo che razzista. Morale della favola, bisogna sempre fare una distinzione tra le leggi, spesso di matrice coloniale, e le persone.

Poi ho incontrato lei, Sistah Teresa. Diventò subito la mia migliore amica. Scoprii che Sistah Teresa gestiva le attività culturali di tutta la diocesi della Capitale: con i suoi fondi personali ha aperto una casa-famiglia per ragazze madri dove svolge corsi di teatro e balli popolari. Inoltre era molto interessata a questo ragazzo che passava i pomeriggi a parlare con loro di questioni di genere.

L’ultima notte la ricorderò per sempre. Organizzammo una serata in costume per dire addio all’Uganda. Sistah Teresa, eccitatissima, si sedette in prima fila e decise, in un attimo di follia, di prestarci i suoi vestiti. Vestiti da suore, ballavamo sotto la pioggia intonando le note di Bad Romance di Lady Gaga. Non nego che, guardando in direzione della Sistah, notai la sua bocca eseguire un lipsync magistrale sulla strofa “I’m a free bitch, baby!”.

Sistah Teresa, shantay you stay…nel profondo del mio cuore!

Black Lives Matter, articolo scritto da Penne in Salsa Gaia, illustrazione Sister Act

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