T-Squirt Incontra – Intervista a Davide Merli

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Davide Merli nasce in Lombardia nel 1995 e cresce tra l’Italia e la Francia del nord fino ai sei anni, per poi stabilirsi in un paesotto della bassa padana. Fugge a Bologna a diciannove anni, ri-fugge a Parigi a venti, torna a Bologna e si laurea in Lingue e Letterature Straniere Moderne. A ventitré anni il cinema si impadronisce di lui e se ne va a Roma a cercar fortuna, ma dopo pochi mesi si trasferisce in Canada e successivamente in Brasile per un progetto cinematografico internazionale. Tornato a Roma, consegue la laurea magistrale in Cinema, Televisione e Produzione Multimediale nell’unica settimana di zona rossa che il Lazio abbia mai visto. Si occupa da anni di fotografia, soprattutto analogica, collaborando con diverse riviste e lavora come DOP e operatore in produzioni cinematografiche.

Il fotografo e cineasta Davide Merli
Il fotografo e cineasta Davide Merli

Le foto di Davide Merli si concentrano principalmente sulla rappresentazione dei corpi e della fisicità. L’intenzione è quella di presentare il corpo come forma estetica pura, privandolo di qualsivoglia funzione o allusività, per concentrarsi invece sulla sua dimensione plastica, sull’alternanza di pieni e vuoti che lo compongono, sulle luci e sulle ombre. Il corpo è dipinto, decorato, imballato, in un processo che spersonalizza i soggetti rappresentati de-sessualizzandone al contempo la nudità e trasformandoli in sculture abbandonate nello spazio, da ammirare nella loro estetica unicamente decorativa. Una fisicità che si definisce fondamentalmente attraverso lo spazio che occupa, corpi decontestualizzati e trasformati in opere esposte all’interno di un ambiente con cui non conservano alcun legame, forme tra le forme. Corpi che, liberi dall’essere oggetto del desiderio o veicolo di espressione, da mezzo si trasformano in fine.
Tutte le foto presentate in questa intervista sono scattate in analogico in formato 35 mm e in formato 120, utilizzando principalmente Minolta XG1 e Mamiya C33.


Davide Merli per noi ha realizzato degli splendidi scatti utilizzando le nostre t-shirt Sexting (CLICCA QUI) e Mi Sego (CLICCA QUI).

Shooting di Davide Merli per T-Squirt
© Davide Merli – T-Shirt Mi Sego e Sexting by T-Squirt.

Ciao Davide, grazie per aver partecipato al nostro “T-Squirt Incontra” e grazie per gli scatti fantastici che hai realizzato per noi. Iniziamo dalle tue passioni: cinema e fotografia. Quando ti sei avvicinato – o loro si sono avvicinati a te – a questi due mondi? Ricordi il momento di “folgorazione” in cui hai pensato: “Si, voglio farne parte. Voglio fare questo!”
Grazie a voi, è un piacere per me comparire sulle vostre pagine al fianco di artisti che stimo e apprezzo. Mi è capitato spesso di dire che fotografo perché non so disegnare, e in un certo senso per me è proprio così. La fotografia si è avvicinata a me piuttosto presto e in maniera insospettabile quando avevo appena cominciato il liceo. Ricordo che un professore aveva organizzato un corso pomeridiano opzionale e c’eravamo presentati in pochissimi, incuriositi e senza chissà quale aspettativa. Fatto sta che questo professore è riuscito a trasmettermi la sua grande passione per il medium fotografico, e con una buona dose di pazienza mi ha insegnato le basi della tecnica, prestandomi tra l’altro molto generosamente la sua reflex Nikon per un lungo periodo di tempo in modo che potessi esercitarmi. Per me è partito tutto da lì, e da quel momento in poi è stato un crescendo di passione ed entusiasmo. Un punto di svolta per me è stato senza dubbio l’avvicinamento, intorno ai vent’anni, alla fotografia analogica. Un amico appassionato ed esperto del settore mi ha regalato in quel periodo quella che è ancora oggi la mia macchina passepartout, una Minolta XG1 che si è fatta con me negli anni il giro del mondo, e grazie anche ai suoi preziosi consigli ho cominciato a sperimentare con pellicole e camere oscure. Sarà un cliché, ma la dimensione fisica e tangibile della fotografia analogica mi ha stregato, rafforzando il mio amore per il mondo delle immagini. Credo che in qualche modo la consapevolezza del processo fisico e chimico che avviene dentro la macchina fotografica prima e in camera oscura poi aggiunga un velo di meraviglia all’intero atto creativo. Il cinema quindi arriva per me come una naturale conseguenza di questa estrema fascinazione per le immagini. A quelle fisse si sono con il tempo aggiunte quelle in movimento, all’interesse per la fotografia statica si è affiancato quello per la fotografia cinematografica, fino alla scelta di renderlo il mio campo di studi. Se dovessi individuare un momento di folgorazione cinematografica, direi che la scintilla è scoccata con la visione di Coffee And Cigarettes di Jim Jarmusch. Quella narrazione per situazioni che riesce paradossalmente ad assumere un carattere così universale mi ha fatto pensare per la prima volta di voler fare parte di quel mondo, di voler usare le immagini anche per raccontare storie.

Fotografia realizzata dal fotografo Davide Merli
© Davide Merli

Cinema e fotografia sono due arti che se vogliamo si intersecano. Il tuo approccio a queste arti è uguale?
In un certo senso si può dire che il mio approccio sia simile, anche in virtù del mio ruolo all’interno del set cinematografico. Occupandomi della parte fotografica e di riprese ho la possibilità di concentrarmi sul versante estetico e di costruzione dell’immagine. Pur riconoscendo l’importanza di una storia ben scritta, negli anni mi sono reso conto di quanto per me l’aspetto visivo fosse predominante, e devo dire che ho fatto presto pace con questa mia predilezione. Anni fa ero più portato a pensare che la paternità autoriale fosse l’unica strada percorribile per imprimere se stessi in un’opera, ma nel tempo ho imparato ad apprezzare e a godere della possibilità di lasciare una mia impronta operando in uno specifico ambito della produzione e lavorando su progetti pensati e creati da altri. Devo dire che in un certo senso ora come ora lo preferisco, trovo stimolante dare corpo e forma alle idee altrui e ho avuto la possibilità di lavorare con registi e autori che stimo e di cui apprezzo la visione. Per quanto riguarda i miei progetti fotografici la differenza principale sta proprio nel fatto che, salvo qualche eccezione, godo in generale di una maggiore autonomia gestionale e organizzativa. Sono mondi complementari, che rispondono a diverse esigenze creative. Il set cinematografico è un lavoro corale, è confronto e, nel migliore dei casi, collaborazione, scambio di idee e incontro di sensibilità differenti. Il set fotografico lascia spazio a un processo più personale, in cui ideatore ed esecutore materiale si trovano a coincidere. Trovo che stare a cavallo fra questi due mondi rappresenti una posizione privilegiata, che mi permette di scoprire ed esprimere lati e sfumature diverse di me non permettendomi di adagiarmi troppo. Il che per me è decisamente un bene.

 

 

Parliamo di fotografia. Le tue foto rappresentano corpi con il fine di esaltarne la forma estetica. Come nasce questa scelta e come evolve in te il processo creativo che ti porta a realizzare uno shooting o in generale uno scatto?
Tutto parte banalmente da un’estrema fascinazione per il corpo umano, per le sue forme, per i suoi pieni e suoi vuoti, per le ombre che crea e l’espressività di cui è capace. Proprio per questo immenso potenziale dei corpi di esprimere tensione e dinamismo, trovo intrigante l’effetto di straniamento che suscita la visione di un corpo neutro, statico, trattato alla stregua di un manichino abbandonato. Sono corpi che conservano la loro dimensione plastica, rinunciando però in una certa misura a quella dinamica e performativa. Al netto delle supercazzole intellettualoidi, queste figure sono lì con l’unico scopo di occupare lo spazio. Non stanno facendo davvero nulla, non sono impegnati in azioni che abbiano uno scopo. Sono pezzi dimenticati di un’installazione che è stata smontata. Non appartengono ai luoghi in cui si trovano e allo stesso tempo fungono da arredamento per gli stessi. Il mio processo creativo parte di solito da un particolare che in qualche modo solletica l’immaginazione. Può trattarsi di un oggetto che potrebbe essere interessante vedere fuori contesto, di un dettaglio nella fisicità di un soggetto, di un capo d’abbigliamento o un accessorio che evoca determinate atmosfere con cui giocare. La verità è che partire dal particolare per poi ampliare il quadro mi diverte, è come scrivere una storia partendo da un incipit casuale. Generalmente i miei lavori si sviluppano su tre livelli: il corpo, il dettaglio, l’ambiente. Il corpo offre allo sguardo un punto di riferimento noto che permette di mettere gli altri elementi in prospettiva, il dettaglio è il twist, l’elemento di contrasto, la locura per citare Boris, mentre l’ambiente è lo sfondo che setta il tono dell’immagine complessiva. Ecco, io sono soddisfatto di una foto quando ho l’impressione che fra questi tre piani ci sia il giusto sfasamento, la giusta dissonanza. Quanto basta per creare il senso di straniamento di cui sopra senza scadere nella cacofonia visiva, mi si passi la sinestesia.

Fotografia realizzata dal fotografo Davide Merli
© Davide Merli

Nell’occhio e nella mente di chi guarda le tue foto, credi sia “scontato” ricevere il tuo messaggio riuscendo quindi a de-sessualizzare il corpo che ammira?
Credo che nessun messaggio veicolato attraverso una qualsivoglia forma artistica possa dirsi scontato, e sono consapevole del fatto che il rapporto con la nudità sia ancora in molti casi problematico. Il corpo nudo si trova ad essere al contempo tabù e oggetto del desiderio, demonizzato e venerato, bramato e rifiutato non senza una certa ipocrisia di fondo. La mia intenzione, nel mio piccolo, è quella di operare sui corpi un processo di normalizzazione, di neutralizzazione se vogliamo. Di toglierli da questa scomoda posizione di intersezione fra pulsioni contrastanti e lasciarli semplicemente esistere nello spazio come elementi fisici fra altri elementi fisici. In fondo entrambi questi atteggiamenti, il tabù da una parte e la magnificazione dall’altra, derivano in buona parte dalla patina di sacralità che abbiamo appiccicato sul corpo. Una volta raschiata questa patina, quello che resta è la dimensione materiale, le forme, le figure. Come ogni processo richiede tempo e si basa sulla ripetizione, ma penso che alla lunga si cominci ad individuare un fil rouge. Il trucco è prendere per sfinimento lo spettatore e, se devo essere onesto, pure se stessi. Tutte queste autoanalisi pompose riguardo il mio lavoro sono arrivate con il tempo, non è che sono partito dicendo “questi sono i miei motivi ricorrenti”. Come sono emersi poco a poco per me, mi concedo la presunzione di pensare che possano emergere un po’ alla volta anche per chi guarda. Dopotutto chiunque butti nel mondo un qualunque prodotto pseudo-artistico lo fa con la presunzione che da qualche parte, prima o poi, questo entri in risonanza con qualcuno.

Fotografia realizzata dal fotografo Davide Merli
© Davide Merli

Qual è il background che ti ha permesso di elaborare la tua visione fotografica?
Mi verrebbe da dire che tutto fa brodo, spesso in modi insospettabili e che riusciamo ad intuire solo a distanza di tempo. Ho frequentato il liceo scientifico e mi sono laureato in lingue prima e in cinema poi. Ho vissuto in Paesi e continenti diversi, ho fatto i lavori più disparati. Un percorso assolutamente incoerente, su questo non c’è dubbio, ma sicuramente variegato e sfaccettato. E questa formazione umana, accademica e professionale composita si riflette anche nel mio approccio alla fotografia. Da una parte sono estremamente affascinato dalla materialità del mezzo, dalla meccanica della macchina fotografica, dalle leggi dell’ottica che regolano il funzionamento degli obbiettivi, dalla chimica dello sviluppo. Dall’altra nutro un profondo interesse per il medium in quanto tale, l’innovazione che ha rappresentato nel mondo artistico, il difficile percorso di riconoscimento e legittimazione attraverso il quale è dovuto passare e il modo in cui ha cambiato radicalmente il nostro rapporto con le immagini. Ecco, qui forse la magistrale al DAMS si fa sentire. Quello che voglio dire è che l’affetto che provo per la fotografia è dovuto tanto all’aspetto tecnico della faccenda quanto al discorso sul mezzo artistico, e senza dubbio il mio approccio risente dell’influenza di entrambi.

 

Qual è il tuo “modus operandi” nella ricerca dei luoghi e dei corpi da fotografare? Preferenze?
Onestamente il mio modus operandi si fonda su un’abbondante dose di improvvisazione. Sono in autobus, vedo un posto che mi ispira e faccio uno screenshot dal gps perchè purtroppo sono completamente sprovvisto di senso dell’orientamento. Passeggio tornando a casa, noto un bel palazzo abbandonato e ci faccio una foto che mi terrò da parte per quando potrei avere bisogno di quello sfondo. Stessa cosa per gli accessori, nei mercatini dell’usato capita spesso di trovare quell’oggetto che, in un momento di folgorazione, ti crea nella testa un intero immaginario. E da buon accumulatore seriale, tengo tutto da parte perché “non si sa mai, magari un giorno torna utile”. Spesso è così, altrettanto spesso props improbabili si accumulano nel mio corridoio, ma suppongo siano i rischi del mestiere. E lo stesso principio si applica ai soggetti, basta guardarsi intorno. Che sia una festa, un bar, un incrocio, a volte basta sfoderare una certa faccia di bronzo e chiedere. E se il progetto del momento richiede figure diverse, probabilmente quel contatto tornerà utile per un lavoro successivo. La cosa più importante per me è che tutti sul set si sentano a proprio agio, e questo è vero a maggior ragione quando si lavora con modelli e modelle non professionisti. Ci si confronta sulla percezione dei propri punti di forza e dei propri limiti e si cerca di costruire un safe space all’interno del quale lavorare con serenità. Credo che questa fiducia, questo senso di comfort traspaia dalle foto quando presente, influenzandone in positivo anche la resa estetica.

Fotografia realizzata dal fotografo Davide Merli
© Davide Merli

Ci sono fotografi che ti hanno ispirato o che ami particolarmente?
Ci sono fotografi il cui stile mi ha sicuramente influenzato, penso ad esempio a Pierpaolo Ferrari, Martin Parr o Oliviero Toscani, soprattutto per quanto riguarda l’uso del paradosso visivo e la composizione. Ci sono poi alcuni fotografi che hanno avuto una particolare importanza nella mia formazione artistica, le cui opere mi hanno ispirato e tuttora mi ispirano. Tra i nomi che porto nel cuore c’è ad esempio Jason Eskenazi, al cui lavoro sono particolarmente affezionato, ma anche capisaldi della storia della fotografia come Lisetta Carmi, Diane Arbus, Robert Frank e Dorothea Lange.

 

La censura, ai tempi dei social, è ritornata con forza e con una cieca selezione su ciò che potrebbe, secondo loro, disturbare l’osservatore. Qual è il tuo rapporto con i social? E cosa ne pensi della censura su queste piattaforme?
Qui si tocca un tasto dolente. Il mio rapporto con i social di base sarebbe pure buono, e credo che Instagram nello specifico avrebbe il potenziale per essere un’ottima vetrina per chiunque si occupi di fotografia. Purtroppo la censura dei corpi sta diventando sempre più stringente, ed è piuttosto imbarazzante vedere quali siano le motivazioni addotte per la rimozione dei contenuti. Non voglio scadere nel banale, ma si fatica a capacitarsi dell’avversione di questa piattaforma nei confronti del capezzolo femminile, anche quando – come nel mio caso – questo sia stato preventivamente censurato per cercare di adattarsi a linee guida quantomeno fumose. Un’autocensura effettuata a malincuore, che spesso e volentieri non basta a evitare la cancellazione dei contenuti. Personalmente vivo questa situazione con disappunto e sommo rodimento, e vedo che purtroppo non sono il solo. È paradossale vedere come ad esempio alcune delle foto che ho scattato siano state pubblicate sul sito di Vogue senza alcuna censura ma rimosse da Instagram con ragioni a dir poco pretestuose. Normalizzare il corpo è strapparlo dalla morsa del tabù. Finché continueremo a nasconderci dietro un pudore ipocrita, il corpo resterà sospeso tra il sacro e il proibito, un elemento altro da noi che non ci appartiene davvero. Credo invece che la riappropriazione della nostra fisicità passi anche attraverso questo processo di normalizzazione. Non c’è nulla di scandaloso nei corpi, ed è proprio l’ostinazione a considerare alcune forme come qualcosa da nascondere che crea la percezione dello scandalo quando queste vengono mostrate. A livello pratico, pur non essendo un programmatore e comprendendo l’esigenza di moderare in una certa misura le community online, ritengo esistano ormai i mezzi e gli strumenti per operare una selezione meno grossolana, che tenga conto del contesto nel quale i contenuti sono pubblicati. I social possono essere un’importante risorsa per allargare il proprio pubblico e intessere reti di collaborazione, ma perchè questo accada è necessario che ai content creator venga lasciata la possibilità, appunto, di creare. Se così non sarà temo che una buona fetta di contenuti sparirà o si sposterà altrove, e questo sarebbe un peccato nonché una grande occasione sprecata.

Fotografia realizzata dal fotografo Davide Merli
© Davide Merli

Hai in cantiere o nella tue testa nuovi progetti fotografici che vorresti realizzare a breve? Se si, puoi darci qualche anticipazione a noi che ti seguiamo con enorme piacere e a chi ci legge?
Al momento sto vivendo una fase di ritorno al bianco e nero, che avevo trascurato per un po’. Se il periodo a Montpellier mi ha portato a divertirmi con i materiali da imballaggio e le coreografie, ho l’impressione che il ritorno a Roma mi abbia riavvicinato al piacere del ritratto semplice, scarno. E comunque io vivo di progetti arretrati, ci sono un miliardo di idee che sono rimaste in sospeso in attesa del momento giusto, del soggetto giusto, dello sfondo giusto. Ultimamente poi ho avuto modo di appassionarmi all’urbex, e credo che questo possa dare una forma nuova a vecchie idee lasciate nel cassetto. Stanno nascendo nuove collaborazioni, mi sto imbattendo in nuovi luoghi e questo mi dà la carica, ho voglia di fare.

Shooting di Davide Merli per T-Squirt
© Davide Merli – T-Shirt Mi Sego e Sexting by T-Squirt.

Parliamo un po’ di te. La tua vita è in continuo movimento. Lombardia alla nascita, poi Francia del nord, Bologna, Parigi, Canada, Brasile. E Roma. Hai trovato “pace” nella capitale o stai già programmando la prossima meta? In cosa ti ha arricchito viaggiare e vivere il luoghi così diversi tra loro?
È stato un ritorno imprevisto e improvviso, ma del resto molti dei miei trasferimenti lo sono stati. Trovare pace in un luogo specifico non è mai stata la mia specialità, ma posso dire che per il momento avrei intenzione di vivermi Roma per un po’, salvo stravolgimenti sempre possibili. Sono arrivato qui nel 2018 e dopo pochi mesi ero già in Canada, poi in Brasile, quando sono tornato è scoppiato il covid con le conseguenze che tutti conosciamo e quando la situazione è migliorata mi sono trasferito a Montpellier, dove sono rimasto fino a un paio di mesi fa. Sento di non avere avuto modo di vivere appieno questa città, e mi piacerebbe prendermi il tempo per farlo. Una vita in continuo spostamento porta sicuramente di tanto in tanto a sentirsi sradicati, a costruire un’identità frammentata. Ma sono convinto che questo abbia rappresentato per me anche una grande risorsa. Ho avuto l’occasione di vedermi in contesti diversi, ed ognuno di essi ha fatto emergere sfumature, inclinazioni e lati differenti di me stesso. Mi rendo conto di essere in buona parte il prodotto delle contaminazioni che ho subito, e più lo spettro di queste contaminazioni è ampio e variegato, più si va ad allargare lo spazio all’interno del quale può muoversi la mia identità. Lo stesso discorso vale per l’ambito artistico, ed è bello quando rivedo nel mio lavoro un collage di influenze, di luoghi, di incontri. Mi evolvo e il mio stile si evolve con me, inglobando elementi da ogni nuova esperienza.

Fotografia realizzata dal fotografo Davide Merli
© Davide Merli

Davide, la nostra intervista si conclude qui ma con un ultima domanda sul tuo futuro e sui tuoi sogni. Cosa ti auguri per il tuo futuro da fotografo e cosa nell’ambito cinematografico? Sogno nel cassetto?
Come fotografo e come cineasta, a breve termine mi auguro la stessa cosa: di conoscere e vivere la comunità artistica della città in cui mi trovo, di fare rete, di confrontarmi con altri creativi e costruire insieme nuovi progetti. Spero che i luoghi della cultura, dell’arte e della creatività tornino a vivere e ho voglia di farne parte, voglio dare il mio contributo a una scena collettiva, sentirmi parte di qualcosa più grande di me stesso. Un passo alla volta, la direzione è quella. Il periodo non è dei più facili, ma voglio credere che sia proprio nei tempi più duri che si formano le nuove avanguardie. Non voglio porre un limite ai miei sogni, so che l’asticella si sposterà sempre un po’ più in là. Una mostra fotografica in qualche bella galleria? Un film con un regista che ammiro? Perché no? Ma so che ci sarà sempre qualcos’altro da sognare, da desiderare. E la cosa in qualche modo mi rincuora.

Contatti
Sito: ello.co/davenonesiste
Sito: vogue.com/photovogue/photographers/257198
Instagram: @davenonesiste

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