Decubito Ergo Sum
di Leda Gheriglio
Niente di nuovo sul fronte fisico. Resto magro come un chiodo eppure mi scuoto così poco e mangio molto. Ad una prima occhiata il mio potrebbe sembrare istinto di conservazione, un volermi preservare, un tentare, annaspare nel continuum della vita, stolidamente. No, il mio è un vano progetto di interdizione ragionata e necessaria. Provo ad avvicinarmi ad uno stato comatoso, di semicoscienza, di sonno perpetuo, di immobilità possibile. Forse è così che ci si avvicina all’estasi, forse così riuscirò ad avere un coito con Dio. Mia madre accetta la mia condizione, forse spera che sia una crisi patologica passeggera. Ho preso l’abitudine di espletare il bisogno di svuotare i testicoli indossando un calzino sporco come se fosse un profilattico, lasciando un margine subito dopo il glande, in modo da potermelo menare in posizione orizzontale, senza le seccature dovute alla contingenza di un’onanistica esigenza. Vedi cleenex, vedi carta igienica, vedi water eccetera.
Con calma mi masturbo, poi lo schizzo attraversa il margine del calzino vuoto dal glande in poi e raggiunge il fondo, restando dentro l’involucro di cotone. Subito dopo non devo far altro che sfilarlo e lasciarlo cadere a terra, in mezzo ai vestiti e alle mutande sporche. Verrà mia madre a prender tutto e metter su la lavatrice. Mentre il cestello dell’elettrodomestico gira penso al mio sperma che impazza nell’acqua calda con le bolle, si cuoce, si solidifica, si disintegra, si disperde. Mi concilia il sonno, mi dà pace.
Ero un ragazzo molto loquace e arrogante, ero capace di mettere in croce chiunque per qualsiasi sciocchezza. Parlavo continuamente e avevo la pretesa di redimere tutti dall’ignoranza o di inchiodarli crudelmente alla stessa. Ma adesso mia madre sa che sono nel bel mezzo del “coma programma”, per cui tante cose sono cambiate e lei è stata costretta ad accettare il mio mutismo. All’inizio non è stato facile, ma d’un tratto fu come se un fulmine mi incenerisse. Mi accorsi di avere l’unica possibilità, non si trattava di scegliere. Il mio testardo rifiuto per la frana di parole, sintassi, concetti, disposizioni che mi rovinano addosso non è compatibile con quel che oggi mio malgrado sono. Infatti, nonostante il “coma programma” sono ancora un essere del tutto pensante e il cervello compone, inevitabilmente. Sembra che io strisci pericolosamente verso una fuga ottusa e ossessiva verso il punto di partenza che non è più. Le enormi aspettative che ciondolavano sopra di me non erano altro che proiezioni mostruose di un io che non è mai esistito e che, forte di un vuoto granitico, ha lottato per schiacciarmi e continua a farlo con ammirevole e stucchevole pedanteria. Nei momenti di abbandono quando la mente vaga fuori da un inesistente io claustrofobico e assurdo allora l’insieme di tutto quest’ammasso di cellule freme, giacente, su questo materasso che ormai mi inghiotte. “Qualcosa non va in me” quante innumerevoli congetture su questo pensiero, quante manie, quante ossessioni quanti eccetera. “Qualcosa non va in te, Romeo”, quante volte mia madre pronunciava questa frase e con quante intenzioni diverse, toni, timbri, espressioni, stati d’animo. Mi rendo conto che un io definito “deve” esserci, per convenzione. Dunque il mio io convenzionale al momento è riscontrabile solo da mia madre che probabilmente si sente afflitta e impotente di fronte a quella che sembrerebbe un’insana apatia, una forma di depressione schizoaffettiva allarmante ma non troppo perché “mio figlio è comunque normale, deve essere normale”. Ho diciotto anni, mi chiamo Romeo e dopo l’esame di maturità sono stato colpito da un fulmine. Adesso non esco più dall’appartamento, mi alzo dal letto solo per orinare e defecare, ma sto seriamente pensando di lasciare che tutto vada come dovrebbe andare. Si tratta di educare ulteriormente mia madre che entra in camera solo per portarmi nutrimento e lavare i vestiti sporchi. Lavorerò anche su questo, non voglio cambiare i vestiti, dopo tutto cosa potrebbe accadere? Mi mangeranno i vermi, i topi? Chissà. Il “coma programma” è iniziato una settimana dopo la prova finale dell’esame di stato. Adesso mi trovo nel mese di settembre, lo so perché mia madre tenta sempre di chiacchierare ma io ho smesso di parlare, la trovo un’insopportabile perdita di tempo. L’illuminazione è arrivata quando ho conosciuto, per caso, Manuel, un ragazzo con un importante disturbo dello spettro autistico. Ho passato molto tempo con lui in spiaggia e nella villa dove stava trascorrendo il suo soggiorno lontano dal centro residenziale in cui viveva. Mi sono innamorato immediatamente di Manuel e ho sentito che stavo vivendo nel privilegio di poter esistere insensatamente accanto a un’altra entità simile, l’apparizione unica di una lontananza. Mi sono imposto di disimparare e reinventare tutto. Gli schemi ripetitivi di comportamento che Manuel riportava ogni giorno, ogni ora, ogni minuto mi facevano stare bene, benissimo. Amavo passare il tempo con Manuel in spiaggia, con lui non esisteva alcuna convenzione vera e propria, ci si poteva dire tutto o non parlare. Avevamo un’intesa immediata di gesti e contatto fisico che superava qualsiasi altro rapporto avessi mai avuto con i miei coetanei o con chiunque altro. Rompeva qualcosa ogni tanto e io mi sentivo liberato. È stato Manuel ad insegnarmi come procurarmi un diluvio di endorfine in modo assolutamente funzionale. Un pomeriggio, per dimenticare il dolore che aveva alla mano, si colpì ripetutamente la testa con un ciottolo che raccolse dalla riva bagnata dalle onde. Lì per lì non capii, ma il giorno dopo una medusa bruciò il mio polpaccio. Feci la stessa cosa che aveva fatto Manuel e mi accorsi che il cervello interrompe il flusso di informazioni del dolore precedente per dare maggiore attenzione a quello recente. In questo modo, quando tornai a sentire il bruciore dell’ustione sulla gamba, ero più calmo e preparato per continuare a sentirlo e accettarlo. Quella vacanza finì presto. Tornai a casa in profonda crisi e senza sapere cosa fare. Desiderai essere come Manuel, urlai a mia madre che avrebbe dovuto impegnarsi, avrebbe dovuto pensarci a partorirmi in condizioni felici. L’accusai del mio senso di inadeguatezza, della sofferenza che il mio cervello mi procurava e dell’odio che avevo nei confronti dell’esistenza. Mi chiusi in camera per due giorni senza mangiare e pisciando nel cestino dei rifiuti. Nacque così il “coma programma”. Non potrò mai essere come Manuel, sono nato così, entità condannata e corrotta. Per me solo un consapevole lento trascinarsi fino alla caduta del sipario. Mentre mi autostimolo il pene, annoiato, in attesa dell’eiaculazione, penso al mio sudario. Non potendo parlare e non potendo uscire dall’abitazione, credo che alla fine utilizzerò la federa su cui poso il mio cranio.
Elena Sette
Elena Sette non ha concluso un cazzo, ma ha provato quasi tutto. Tutto che inizia a Firenze, poi si sparge per il centronord. Studi d’arte, scuola di recitazione. Ma quel che ne esce rimane quasi tutto dentro. Il bisogno di spazio interiore spinge a espellere. Bozze, miriadi di bozze. Non sappiamo mai quando l’amore è necessità, obbligo o vocazione, ma E. S. ama le bozze. Va detto che le forme immediate e imperfette sono rassicuranti, almeno finché non diventano metro dell’occhio. L’aspetto preadolescenziale dell’imperfetto affascina, d’altronde, perché se ne può cogliere la potenza vitale. L’imperfetto è inizio d’altra parte. L’imperfetto è sospeso, come i tre puntini che Elena ha dietro al collo. Il terrore dell’imperfetto, d’altro canto, è lo spettro del perenne provvisorio. Sfuggente quindi. Migliaia di bozze, di parole, di segni e fermi immagine. Qualcuno tuttora non privo di originalità, va detto; ma. In sintesi: estrema difficoltà di sintesi finale nel giocare col creare, ma più che discreta capacità di sintesi totale nel giocare col creato. Divertirsi a suggerire. Essere estremamente esibizionista, ma solo nell’immediato. Di concreto: qualche spettacolo teatrale, molte foto.
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Leda Gheriglio
Leda Gheriglio 16 luglio 1987 Catania. Leda è su Facebook da tre anni circa e usa il suo profilo per pubblicare video e foto. È autrice di un romanzo di totale insuccesso dal titolo “Il clitoride cataro” e di una inedita raccolta di racconti. Posa per foto, disegni, dipinti. Le collaborazioni che le stanno più a cuore sono con A. Gallo, F. Lo Bianco, S. Ridi, S. Buttò, C. Biondo, S. De Donà, R. Caruso e S. Occhipinti, che ha illustrato tre racconti che ho scritto qualche anno fa. Leda ha realizzato tre video per il cantautore Lello Spontini e ha avviato una collaborazione antiperformativa con Luca Atzori a cui si è unito Alex Gallo.
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La rubrica senza filtri è a cura di T-Squirt con la necessaria e preziosa collaborazione di Elena Giorgiana Mirabelli ,redattrice e responsabile progetti di Arcadia book&service.

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