Fetish e femminismo, come la donna viene esaltata.

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Fetish e femminismo, come la donna viene esaltata.
Articolo scritto e illustrato da Concetta Moccia

Il feticismo proviene, letteralmente, dalla venerazione; e si sa, la venerazione è donna.
Sin dai tempi della Venere di Willendorf, alla Madonna, madre di Dio ancora oggi venerata, alla donna angelo del dolce stil novo, la donna è stata il centro delle fantasie – sessuali e non – del genere umano.

“Dio lo ha punito e lo ha messo in mano ad una donna”, si legge nella Venere in pelliccia di Masoch.

Fetish e femminismo, articolo e illustrazioni di Tanya Moccia
© Concetta Moccia

Il feticismo è, a tutti gli effetti, una vocazione. Una folgorazione, una visione in qualcosa di normalissimo, come giocare con le proprie cugine o guardare la tv, che da quel momento scaverà un solco nella mente di chi ne è rimasto folgorato e che passerà la vita a cercare di riempire.
Il feticismo è la ricerca, continua e costante, dell’oggetto che si era visto la prima volta e che aveva donato così tanta estasi. È l’atto di adorare e prostrarsi di fronte all’oggetto fatto reliquia, assorbire il potere di cui lo si investe. Nello stesso modo in cui il devoto fa con la reliquia religiosa, così avviene con l’oggetto sessuale, qualsiasi esso sia, in una catarsi del tutto simile.

Un giorno un amico mi chiese di scattarmi una foto nella posa di un quadro di cui non si vedeva il volto, soltanto parte del torace e del petto nudo. Personalmente, la cosa mi lusingó. Mi fece sentire simile alla donna ritratta; la sensazione di potenza che passa dalla bellezza e dall’attrazione che provochi è uno strumento che vale la pena godere e sfruttare. Ormai trasformata in una reliquia senza volto, in un simbolo etereo fatto del proprio potere.

Dire però che il feticismo sia la venerazione della donna suona a dir poco riduttivo. Il feticismo fa molto di più, qualcosa di impensabile per chi non ne sente la vocazione.

Proprio da lì dove tutto nasce, nasce anche la sublimazione di ogni sua parte.

La donna è scomposta, la sua identità si dilata, ogni parte del suo corpo assume un valore proprio. Persino gli oggetti che entrano a contatto col suo corpo e le sue azioni vengono rivestiti di valore.
D’altra parte, tramite il feticismo l’attenzione si sposta dalla persona al particolare del corpo o all’oggetto. Non serve più che la persona oggetto del fetish abbia una personalità o un’identità, motivo per cui il feticista non è spesso capito dal partner, che ritiene non solo strano il suo interesse, ma si sente anche messo da parte rispetto al particolare di cui il feticista è ossessionato.
Restive de la Bretonne sposò Agnès Lebegue soltanto per i suoi piedi, nonostante il resto del corpo fosse ripugnante.

 

Fetish e femminismo, articolo e illustrazioni di Tanya Moccia
© Concetta Moccia

È comprensibile come, per alcune donne, anche una pratica in cui esse stesse – o parte di esse – e la loro bellezza siano indiscutibilmente protagoniste, ritengano tali parafilie come svilenti e volte a renderle un mero oggetto sessuale. C’è un pezzo che manca alla storia, però: possibile che il feticismo sia del tutto unilaterale?

Nel mondo del fetish, l’aspetto dominante della donna sembra essere uno dei punti cardine. Anche nell’immaginario collettivo il feticismo si identifica nelle figure della donna bellissima e dominante, vestita (poco) di latex e calze a rete, con l’uomo sottomesso, privato del suo convenzionale potere, prostrato alla sensuale sovranità della donna. Ma è davvero così?
Non si parla quasi mai del feticismo femminile, quasi non vi sia interesse nello scoprire se le donne possano avere tali “devianze”, stimoli diversi dal convenzionale. Le donne nel sesso possono essere sante o puttane, ma mai sottomesse al feticcio.

Può essere, questa stessa, un’altra forma di discriminazione nei confronti delle donne?

Eppure non sono pochi i casi di donne che, con la stessa intensità dell’uomo, si dedicano a pratiche del mondo feticistico. Ci sono donne che riescono a raggiungere il piacere solo con pratiche violente o con rapporti anali, che amano i rapporti con oggetti più di quelli con le persone.
Esistono donne schiave nel BDSM, donne scambiste, donne che intrattengono relazioni e sposano oggetti, eppure, quando si parla delle parafilie delle donne, si parla di vezzi sensuali, di libertine, di coraggiose, di donne libere e potenti, fiere della propria sessualità anche quando sono sottomesse. Non è mai feticismo, quando si parla delle donne feticiste.

Quando il potere della femminilità si fece virile.

C’è stato, in realtà, un tempo in cui quello che potremmo definire l’equivalente maschile delle mistress veniva celebrato. Era il tempo dei Dandy, raccontati nel loro massimo splendore da Oscar Wilde e dall’iconico Gabriele D’Annunzio. In una visione largamente condivisa in cui la donna detiene il pieno potere della venerazione, il Dandy venera se stesso ed i suoi abiti e non ha tempo di rivolgere le sue attenzioni al genere femminile, che incontra senza impegno con rapporti superficiali, facili, veloci. La preziosità e lo status del Dandy lo rendono una preda ambita delle donne che si affannano, quasi mai con successo, a conquistarlo. I ruoli si ribaltano e l’uomo si fa eleganza, estetica pura, seduzione. Una inarrivabile divinità che più che concedersi, illude, riducendo pian piano le distanze tra uomo e donna, azzardando sempre più con maniacale passione negli abiti ed atteggiamenti sempre più femminili.

“Un giubbetto di seta rosa piccione, che scendeva mollemente sui fianchi ed evidenziava perfettamente la sporgenza del suo didietro; calzoni di pizzo nero a volants che arrivavano – quasi come una sottoveste – fino al ginocchio; e una morbida camicia di mussola bianca con pagliuzze dorate e riccamente plissettata”.

Ciò che potrebbe assolutamente passare per la descrizione di una nobildonna è in realtà il racconto che Aubrey Beardsley fa dell’abbigliamento di Tannhauser in Sotto il monte, piuttosto eloquente nel raccontare l’ormai superato confine tra ciò che è donna e ciò che è uomo.

Si dovrà aspettare la fine del secolo per ritrovare le donne descritte come fatali, riprendere il ruolo di divinità, spostando l’attenzione di nuovo sulla propria figura e riportando l’uomo al ruolo di sottomesso, come accade nella già citata Venere in pelliccia di Leopold Sacher-Masoch, in cui le parole del protagonista fungono da mantra comune a qualsiasi feticista o sottomesso.

“Io trovo nella sofferenza una strana attrazione, […] che niente riesce a eccitare la mia fantasia come la tirannia, la crudeltà, e soprattutto l’infedeltà di una bella donna”.

I ruoli di donne ed uomini saranno via via ridefiniti, soprattutto nell’abbigliamento e nella narrazione sessuale, anche se sarebbe scorretto dire che questo mondo sia fatto di ruoli ben distinti che non si possono mescolare.

Fetish e femminismo, articolo e illustrazioni di Tanya Moccia
© Concetta Moccia

Conclusione

Per qualche motivo si è stabilito che la mente abbia il primato sul corpo e che l’apprezzamento estetico sia svilente nei confronti del valore di quella persona. Ma se cominciassimo a dare il giusto valore anche all’estetica? Se la cura e il corretto uso della propria immagine fosse equiparata all’ingegno e all’intelletto? In fondo, c’è bisogno di una certa astuzia anche nell’individuare e valorizzare i punti forti del proprio aspetto e talvolta guadagnare grazie ad essi. Che sia l’attenzione dell’uomo che vogliamo conquistare, un posto di lavoro in cui il modo di presentarsi ha aggiunto un valore in più ad un colloquio già brillante, o dei soldi in cambio del suo utilizzo, il corpo gioca un ruolo fondamentale, indipendentemente dall’opinione che ne abbiamo.
La bellezza, o ciò che si ritiene tale, è potere, da sempre. Eppure, c’è ancora qualcosa di più. Non troppo raramente mi capita di sentire da feticisti di vario genere che non è la bellezza complessiva quella che conta per la loro eccitazione, anzi. Più d’uno mi ha confermato che ad attrarli sono ragazze normalissime, per nulla appariscenti. Di ragazze che praticano performance in questo mondo ne ho conosciute anche io e, a parte dei casi piuttosto canonici, erano tutte ragazze assolutamente insospettabili, ma comunque di enorme successo nell’ambiente.
Il pericolo che si corre è sempre quello di contrapporre i ruoli di genere in un’infinita guerra dei mondi, che non porta a nessun risultato se non scavare le differenze ed ostacolare il naturale scorrere del piacere. Se potessimo, una volta per tutte, fermare l’inutile ricerca di quale sia il lato giusto e quale quello sbagliato, forse ci accorgeremmo che, semplicemente, esiste da un lato o dall’altro chi ama dominare e chi ama essere dominato ed entrambe le parti possono coesistere serenamente e trarne null’altro che reciproco piacere.

Contatti Concetta Moccia
Instagram: _i_am_the_warlus_
Facebook: titta.moccia
Behance: Concetta Moccia

 

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