Flesh about me di Leda Gheriglio

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Flesh about me
50 metri a 4 zampe per raggiungerti dentro la mia testa di Leda Gheriglio

La sincerità volontaria e cosciente che ho con te trascende ogni concetto di sincerità volontaria precedente; perché quando mi guardi e quando non mi guardi arde la mia pelle. Che vuol dire questa frase? Tu m’hai detto che il terrore rende tutto un po’ più sincero e certo che è vero, cuore nero. Sai cosa sta succedendo, vero? Sto scrivendo in balia dei momenti in cui mi trovo ingenua o cinica e non decido mai come essere, è sempre tutto nelle mani delle mie maledette seppur debellate emozioni, vincolate e secrete da questo corpo in decomposizione. Sto scrivendo per raccogliere il mio presente e volerne il controllo. Non voglio lasciarmi sedurre dalle novità che mi offre, le piglio con l’indifferenza tracimante che abbonda dentro, e mi sento soffocare. Berti, bere il tuo piscio, sentirlo sulla faccia, sentirlo dentro la bocca, berlo ancora per sentirne il sapore per poterti tenere e assumere in forma liquida mi ricorda il desiderio che ho di mangiarti e il desiderio di lasciarti sopprimere il mio corpo.

Illustrazione di Liliana Caruso, Dolce Mattatoio, per il racconto erotico di Leda Gheriglio
© Dolce mattatoio aka Liliana Caruso

Non lo faremo perché solo l’esserci, nel processo organico parabolico, ci consente di prendere quello che la carne sente e brama continuamente, ora. Mi piace quando gli altri ci guardano con orrore dentro abiti puliti e corpi profumati e noi ce ne stiamo a vagare luridi e sudati e stracciati. Mi piace perché mi dissocio e forzo il distacco dall’astronave, salendo sulla capsula che viaggia con te, dentro un universo che si ripete e che angoscia. È bello girare nella capsula e fingere di smarrirsi solo perché non mi volto mai a controllare l’astronave lontana che comunque resta lì, ad attendere il mio rientro. In questo mio presente ho pensato che stavolta non sarei riuscita a rientrare, che l’energia della capsula non sarebbe stata sufficiente; tanto mi sono allontanata seguendoti. Nei passi che ho percorso carponi, tirata per il collo dalla tua cinghia dentro tenebre per forza familiari, io mi concentro e disperdo. Ho fatto quella strada con te, mio aguzzino, che mi prendevi a calci in culo e mi colpivi con la cintura sullo stesso culo, la stessa che stringeva il mio collo, tanto da farmi gonfiare la faccia. Giunti lì, di nuovo, il tuo cazzo attraversa il mio ano, riposizionandosi nuovamente dentro il mio retto, fino in fondo, fino a lì, dove il tuo sperma stazionava da poco più di un’ora: “ti vengo di nuovo nel culo, ti metto altra sborra nel culo”. Sporca e dolorante, i lividi enormi li avrei visti poi con quella luce del mattino che mi fa tanto brutta e mi espone così nuda e volgare a creature aliene. Ho ceduto a questa mortificazione pur di vederti, pur di lasciarti usare questo corpo che da sola non posso. Vorrei offrirtene uno più bello che sia più conciliante con il tuo equilibrio estetico. Tanti anni, tanta vita per raggiungere uno scoglio sul mare e di me, da te, sentir parlare. Sempre muti, ma per una volta hai detto e cosa hai detto. Lì nel canale stretto della tua genialità e del tuo soffrire e della tua assenza hai scorto me. Il fatto che io non raggiunga l’orgasmo ti ha permesso di conoscere la noia, l’insistenza, la ripetizione, il perpetuo languore meccanico di due corpi che insieme si affannano. Ti sei trovato sprofondato nella carne senza nessuna scusa che potesse reggere quel momento di dialogo apparente e hai allungato la durata delle tue scopate come mai prima; hai detto. Il mio non riuscire a venire ha aperto orizzonti sconfinati che ci colgono sempre distorti e straniti a tratti. “Mi hai tolto un peso”, il peso di preoccuparsi di dedicarsi al raggiungimento del culmine, della deflagrazione altrui. Io non voglio e non posso che dare a te senza condizioni, non sono una sostenitrice della parità né della dimostrazione né delle mani avanti. Tutto l’apparato genitale è un pulsare e un fare male. Duole, e il corpo invecchia rapidamente, turbato dall’inane affanno. Non avevo mai perdonato prima d’ora la vulnerabilità di un cazzo, mai. Non perdono la vanità che a tratti schizza fuori da te, ma sei più profondo e temibile del mare e non se ne sa niente. Il mio sguardo coglie ogni vigliacco e interessato gesto altrui e questo mi permette di sceglierti senza sazietà, ingozzandomi. Le tue dita la tua lingua che mi titillano non sono più in cerca di una sapienza tecnica e di un accanimento cieco. È il caso e l’incontro dei sensi che scatena ogni singola scintilla, e ne usciamo sempre perdenti e perduti. Non sono sentimentale, è solo questione di arredamento cerebrale. Sono la tua bambola gonfiabile a cui metti le toppe pur di non buttarla perché “ancora si può usare”; sono la cagna che non hai mai cercato in canile, quella che ha ammazzato il tuo animale da compagnia. La mia testa è un immenso hangar che ti ospita nella parte più remota dei tot metri quadri e da lì si manipola e da lì si respira. Ogni mattina apro gli occhi e cerco il tuo cazzo da succhiare. Non abbiamo appuntamento mai con nessun orgasmo e possiamo prendere il tempo con i sussurri della testa che ascolta con le orecchie unte, sudate, sfaldate. E ogni cosa è trasformabile nelle nostre mani e nei nostri telefoni che ci tengono sul filo dell’attesa sul filo della resa. Io sono nuova carne per te.

Illustrazione di Liliana Caruso, Dolce Mattatoio, per il racconto erotico di Leda Gheriglio
© Dolce mattatoio aka Liliana Caruso

La puoi cucinare su WhatsApp e puoi farne polpette, fette, arrosti, spiedini. Nessuno ti può offrire quello che io posso offrire a te. È una mia predisposizione naturale che non ha sempre le condizioni ambientali per potersi manifestare. Tu sei quel luogo, tu puoi scrivere i contenuti e gestire la regia in remoto e aprire altre finestre con altre realtà e giocare il tuo gioco con questa nuova carne che è cotoletta, che è bistecca, che è zuzzu. Non ti piacciono le frattaglie, ma quegli scarti rimpiangerli potrai malgrado memoria corta. Perciò prendi una friggitrice, tutto ciò che è fritto è buono. Di me non puoi buttar via niente.

Eccolo, infine forse l’orgasmo, giunge inaspettato l’altra notte. E un po’ bisogna incoraggiarlo, e dargli il benvenuto e incitarlo, tutte cose lontane da me, tanta fatica, quanto imbarazzo e che vuoto. I piedi sfrigolavano e il sangue scorreva caldo e forte lungo le mie gambe. Un fuoco vulcanico e circoscritto, insostenibile, che poi tutto trascina come lava e come lava si ferma e si spegne: raffreddamento. Credo d’esser venuta e spero che non accada più tanto spesso, è spreco bieco e m’é ignoto.

Illustrazione di Liliana Caruso, Dolce Mattatoio, per il racconto erotico di Leda Gheriglio
© Dolce mattatoio aka Liliana Caruso

Leda Gheriglio
Leda Gheriglio (Catania, 1987) ha scritto “Il clitoride càtaro” (eroscultura 2016) e “Uroboro” (ensemble 2019). Scrive, disegna, fa video e posa davanti a telefoni, macchine fotografiche e pennelli.

Contatti
Instagram: @ledagheriglio
Facebook: @leda.gheriglio

 

Dolce mattatoio aka Liliana Caruso

Dolce mattatoio aka Liliana Caruso nasce a Catania nell’83. Da subito capisce che la musica, i mammiferi e l’espressione di sè tramite il disegno, saranno le cose che le rovineranno la vita . Fortunatamente. Ha studiato psicologia ed esplora il mondo del tatuaggio dal 2008, iniziando a tatuare su qualunque cosa nel 2013 grazie agli insegnamenti di Gabriele Cotza. Insegna matematica arte scienze musica educazione motoria e tecnologia ai minimammiferi.

Dal 2016 al 2019 ha gestito “la rue des bon enfant” , storico studio di tatuaggi e piercing di proprietà di Anna Beniamino (cui va tutta la sua stima e supporto) , organizzando ed esponendo artisti come Mario Itler, Riccardo Cecchetti, Starfuckers (gruppo Noise rock italiano visionario e poetico tutt’oggi in attività ), Antonio Olivieri (angst records), i ragazzi del Laboratorio dei Mutanti ed altri. E facendo performare artisti, produttori, compositori e sperimentatori come Fabio Terranova, vari ragazzi del collettivo Audiohacklab( con cui negli ultimi due anni ha imparato a saldare le proprie macchinette synth) come Giorgio Alloatti e Andrea Reali (kinetik laboratories) , Davide Bava, Ivan Fassio, Emanuel Lafaenza(no records) e molti altri. Ha esposto al circolo arci Amano tes, da Era aurora , nella chiesa di Santa Croce di Rocca Canavese ed in varie altre occasioni deliranti.

Nell’attesa di trovare un nuovo spazio fisico di lavoro si prende cura di 35 gatti e un cane.

Big Black, Brainbombs, Freud, Lacan, Stig Dagerman, James Ellroy, Edward Bunker, Thomas Stern Eliot, Hunter Thompson, Fante, Crowley, butthole surfers,Giger, Laurie Lipton, Montale, Fellini e Aldo Lado sono solo pochissime delle cose per cui ritiene che questa vita sia un meraviglioso viaggio hardcore dal quale succhiare ogni sprazzo di luce.

 

Contatti
Instagram: @dolcemattatoio

 

La rubrica senza filtri  (CLICCA QUI per gli altri racconti) è a cura di Queef Magazine con la necessaria e preziosa collaborazione di Elena Giorgiana Mirabelli ,redattrice e responsabile progetti di Arcadia book&service.

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