Giovanni Vanacore (alias Feritoie) è nato il 4 marzo 1999 ad Aversa. Fotografo e scrittore non esce di casa senza macchina fotografica dal 2019. Con la sua poesia visiva “Autoritratto” è stato esposto nel Padiglione Venezia durante la Biennale d’Arte 2022. Con l’opera “Sordo” è stata esposta alla fondazione Bevilaqua La Masa e al Forte Marghera. Con la sua prima opera “Aversa FS” espone al Museo di Ca’ Pesaro. Le sue poesie visive “Autoritratto” e “Aversa FS” fanno parte dell’archivio permanente del museo di Ca’ Pesaro. Oggi abbiamo la fortuna di conoscerlo meglio grazie all’intervista che ci ha concesso per la nostra rubrica T-Squirt incontra. Giovanni Vanacore, aka Feritoie, ha realizzato per noi anche degli scatti con la nostra “Santos Subitos”, una delle nostre t-shirt T-Squirt ideata e disegnata da Pupazzaro e Manocchio. Noi lo ringraziamo per gli scatti e per il tempo che ci ha concesso e si è concesso nel rispondere alle nostre domande.
Buona lettura e buona visione.
Ciao Giovanni, grazie per gli scatti e per averci dedicato del tempo per realizzare quest’intervista. Iniziamo dalla fotografia come passione. Quando e come nasce il tuo amore per la macchina fotografica?
Ciao, Enrico! Il mio amore per la fotografia nasce presto, ma si sviluppa molto più tardi. Fin da piccolo ero molto affascinato dal mondo della fotografia, dalla possibilità di condividere una visione, come a dire: “Eccolo qui, è questo il mondo come lo vedo io!”.
Ma fu solo dopo una delusione con la scrittura -il mio primo amore- che comprai a vent’anni la prima fotocamera. All’inizio è stato complicato, c’era un grande senso di “ritardo”; ma con ingenuità e gioia ho passato questi quattro anni con grande concentrazione e impegno. Ho (ri)trovato l’amore.
Giovanni Vanacore, alias Feritoie. E questo ci riporta alle aperture delle fortezze da cui si potevano osservare i nemici per colpirli. Immagino che i tuoi “colpi/shooting” non siano però contro persone avverse. Come mai hai scelto questo nome che a noi tra parentesi piace molto?
Aldilà della connotazione più bellica (che è comunque esatta, assolutamente), io ho scelto “feritoie” come mio nome per ricordare le fessure che restano aperte nelle mura: spiragli attraverso cui scocca la luce, e che ti lasciano vedere attraverso. Passiamo la vita ad alzare muri, a separare il “noi” dal mondo esterno, le nostre fragili individualità. Le feritoie -in questo senso- sono quei minuscoli passaggi tra “quellochesiamo” e “tuttoilresto”.
Qual è il tuo percorso da fotografo? Autodidatta oppure hai una formazione specifica?
La mia formazione accademica è nella comunicazione visiva, quindi ha senz’altro accompagnato lo sviluppo e la maturazione della mia fotografia. Però confesso di aver iniziato a studiare miratamente fotografia durante i lockdown, mi sono riempito la pancia di libri sulla fotografia. Ancora oggi studio, studiare mi piace molto: è rassicurante sapere che c’è sempre altro oltre ciò che so.
Il tuo repertorio fotografico si arricchisci di più stili e tipologie di fotografie. Quelle più glamour, quelle più artistiche, il colore, il bianco e nero e tanto altro ancora. Qual è il percorso artistico che ti porta a scegliere un modo di fotografare invece di un altro?
Le fotografie di nudo fanno parte del mio percorso personale, della mia ricerca: non ci guadagno quasi mai e va bene così. Ormai sono due anni che lavorativamente faccio il fotografo, di progetti pubblicitari ne ho fatti molti e prediligo la moda. Ho dedicato tanto tempo ed energia ai miei primi editoriali (accompagnato dall’immancabile Laura), oggi riesco a rimediare diversi lavori in chiave fashion e mi piace tantissimo. La moda è un ambiente stimolante, poter mettere un po’ della mia visione all’interno degli shooting commissionato è un sogno che provo sempre più ad avvicinare. Credo che nella vita mi andrebbe bene essere un fotografo di moda.
Colore e bianco e nero. Cosa ti spinge a scegliere uno dei due modi di sviluppare i tuoi scatti?
Chi ha lavorato con me sa che ho la strana abitudine di previsualizzare quasi sempre gli scatti in bianco e nero, dal mirino della mia mirrorless ho disattivato la visione a colori. Il B&W mi aiuta molto a leggere la scena, la sua profondità.
Se non mi viene esplicitamente chiesto il colore, ci sono volte in cui lo “inserisco” per ragioni sentimentali: mi sembrano più dolci le foto a colori. Ho raramente scattato una foto per ragioni esclusivamente cromatiche, ci sono fotografi che molto più di me ne sono sensibili. Io mi sento più vicino ad un fotografo analogico affezionato ai colori della solita pellicola: una volta che ho trovato un’alchimia che mi convince non lavoro più di tanto sui colori – se il lavoro non lo richiede. Amo tanto il look analogico che ti fa sentire accolto in quell’idea più organica di fotografia.
In molti tuoi scatti di nudo, abbiamo notato una bellissima armonia tra soggetto e macchina fotografica. Una particolare intimità. Come scegli chi fotografare e quale rapporto instauri con loro?
Non saprei darti una risposta interessante alla domanda sul “come scelgo”, credo sia più spesso una questione inconscia per me. Posso dirti che mi piace molto conoscere chi scatto, parlarci un po’ prima di tirare fuori la fotocamera – insomma, sapere cosa c’è oltre la carne nuda e cruda. Per lungo tempo la mia unica disciplina -in questo senso- è stata quella di dirmi “scegli un soggetto diverso dal precedente”.
Ritornando al nudo. Da cosa ti lasci ispirare quando fotografi un corpo? Cosa ti piace trasmettere? Erotismo? Intimità? O cosa?
Molto raramente ho fatto shooting di nudo in cui avevo già in partenza un’idea precisa, per mia scelta. Quando le persone vengono a farsi fotografare -si spogliano e si raccontano- mi sento sempre nella posizione di volerle “narrare”, piuttosto che usarle per una mia narrazione (anche se poi si rivela in qualche modo inevitabile).
Mi piace che venga fuori una storia, spesso fatta di fragilità, altre volte di quel sano ego che ti aiuta a mettere assieme i pezzi.
Poi magari c’è sempre un po’ di me nei corpi degli altri, ma io mi sento più come un pellegrino che guarda le auto attraversargli la strada.
Hai dei fotografi che ti hanno ispirato e che ti ispirano nel tuo percorso professionale?
Come non citare il mio maestro indiscusso: Richard Avedon – l’uomo che per me si è più avvicinato alla fotografia come essenza stessa di quell’arte. Poi ti cito Tatiana Mikhine, alcuni dei scuoi scatti mi fanno piangere. E sono un profondo estimatore dei lavori di Luigi & Iango, loro sono una scoperta più recente ma da subito un punto di riferimento.
Noi ti abbiamo conosciuto grazie ai social. Che rapporto hai con questi in relazione alla tua arte e che ne pensi della censura che attuano?
Penso che i social siano una dimensione alternativa e distorta. Si mettono a filtro della realtà, tolgono concetti e aggiungono apparenze. Ci sono libertà in pericolo dentro allo specchio nero di uno smartphone. Se in un corpo nudo l’algoritmo ci vede solo un contenuto dannoso, chissà che fine faremo noi che nudi ci nasciamo. In un mondo di contraddizioni l’arte è la risposta più “divertente”, la censura è l’antitesi oscura di cui mi fa paura parlare.
Scrittore oltre che fotografo. Queste due arti per te sono due rette parallele oppure riesci anche a farle convergere in un punto comune?
Sicuramente la scoperta della “visual poetry” nel 2019 è stata risolutiva in questo senso.
Una modalità d’arte anche piuttosto inesplorata in Italia , che è tradizionalmente legata ad una idea d’arte un po’ più classica. Con l’opera “Autoritratto” ho avuto l’inatteso privilegio di andare da artista alla Biennale di Venezia, nell’edizione Arte del 2022. Non posso non parlarne senza ringraziare Matteo Trapanese che mi ha affiancato curando la parte audio dell’installazione! Un terreno fertile in quel limbo tra parola e immagine: mi entusiasma e mi sprona a sperimentare!
Giovanni, ringraziandoti ancora per il tempo che ci hai concesso, ci salutiamo con due ultime curiosità riguardanti questa volta il tuo futuro. Stai lavorando a nuovi progetti? Qual è un tuo sogno professionale che ti piacerebbe realizzare?
La domanda più difficile alla fine, Enrico! Di progetti ce ne sono tanti che mi balenano in mentre. Dalla nuova raccolta di poesia fino ai prossimi, folli editoriali.
Però, forse, la cosa più divertente da raccontarti è un’idea avuta tempo fa per realizzare un film su Batman. Non vi aspettavate di sentirlo? Neanch’io mi aspettavo di pensarci! Però l’idea di un Batman completamente alternativo, provinciale e LGBT+ mi ritorna in mente continuamente. Un tarlo che non vedo l’ora di togliermi… Ma questa è un’altra storia!
Contatti
Sito: giovannivanacore.it
Instagram: @feritoie
Bēhance: Giovanni Vanacore

Condivisione Rumorosa di arte erotica ricercata e sconosciuta, di sontuosa volgarità e raffinata pornografia.