Per la nostra rubrica “T-Squirt Incontra” abbiamo avuto il piacere di intervistare Giuseppe Briguglio. Giuseppe Briguglio nasce a Genova nel 1972, da padre italiano e madre francese. Si avvicina alla fotografia giovanissimo grazie al padre e alla camera oscura da lui allestita in casa. Intorno ai venti anni scopre che il suo campo di adozione è il ritratto, principalmente femminile. Da qualche anno fa fotografia a tempo pieno, dopo aver fatto diversi lavori coltivando la foto come passione. Pur muovendosi spesso nel campo del nudo, e dintorni, è allergico alle definizioni, ai “generi” e agli stereotipi e ha da tempo adottato come motto “Ceci n’est pas un boudoir”. L’idea di fondo è quella di raccontare una sensualità “normale”, quotidiana, leggera e con un pizzico di ironia. Ha una forte predilezione per il b/n, per la luce naturale, sebbene spesso scatti anche in studio, e per le location urbane o simili, treni e stazioni su tutte.
Ringraziamo Giuseppe Briguglio e la sua musa Francesca (@je_suis_ef)per gli splendidi scatti che ha realizzato per T-Squirt. Il capo utilizzato negli scatti è la nuova t-shirt Ditalino, ricami e passioni (CLICCA QUI per acquistarla).
Ciao Giuseppe e grazie per aver scelto di partecipare al nostro “T-Squirt incontra” con i tuoi scatti. Come nasce la tua passione per la fotografia? Qual è stato il tuo primo approccio alla macchina fotografica? I tuoi primi soggetti immortalati?
Presi in mano la mia prima fotocamera più o meno a sette anni. Era una piccola Rollei 35 che mio padre aveva comprato sperando di coinvolgere mia madre nella sua passione per la fotografia. Il tentativo fu fallimentare ma finì per coinvolgere me. Per anni ho “scimmiottato” le foto di mio padre (che oggi definiremmo prevalentemente “streetphotography”) poi intorno ai vent’anni ho capito che quello che mi attirava di più era la ritrattistica.
Come avvenne la tua formazione? Immagino che avere un padre fotografo ti abbia consentito di “rubargli” i segreti del mestiere e che lui stesso sia stato felice di insegnarteli.
In realtà mio padre non ha mai fatto il fotografo di professione ma per gli anni ’70/’80 era quello che oggi definiremmo un fotoamotore evoluto.
Io adoravo osservare il suo lavoro in camera oscura che aveva un non so che di alchemico ed ero l’unico membro della famiglia che sembrava condividere con lui questa fascinazione.
Sappiamo che prediligi il bianco e nero. Come mai?
Suppongo che sia un retaggio proprio di quei pomeriggi passati in camera oscura.
Come ti prepari ad uno shooting? Hai già in testa esattamente come deve venire uno scatto o preferisci farti guidare dall’istinto?
Io parto sempre dal presupposto che i ritratti si fanno in due. Sono riusciti solo quando raccontano qualcosa di chi sta da entrambi i lati dell’obiettivo.
Quindi, soprattutto quando scatto con qualcuno per la prima volta, cerco di assecondare i gusti e le inclinazioni di chi posa.
Qualcuno, tempo fa, mi ha detto che dai miei scatti si vede come sia io ad essere a disposizione del soggetto ritratto e non il contrario;
lo considero uno dei più bei complimenti mai ricevuti.
Naturalmente questo non esclude che per alcune serie di foto (non amo usare il termine progetto che è spesso un po’ inutilmente pomposo) ci siano delle idee di base che cerco di seguire, sempre però provando a declinarle in funzione della personalità di chi vi è ritratto.
Il tuo campo preferito è la ritrattistica, soprattutto femminile. Come scegli i soggetti delle tue foto?
La prima necessità è scattare con qualcuno che apprezza il mio modo di fare fotografia. Fortunatamente sempre più spesso sono loro a scegliere me.
Da parte mia non c’è nessun prerequisito di partenza. Spesso mi trovo meglio con chi non è troppo abituato a posare e non ha pose standard che tende a ripetere.
La timidezza è spesso un valore aggiunto quando viene superata grazie alla consapevolezza di sentirsi a proprio agio ed in una “safety zone”.
Se dovessi scegliere tre soggetti che ti piacerebbe fotografare o che ti sarebbe piaciuto fotografare, che nomi mi faresti?
Sognando ad occhi aperti: Jane Birkin, sua figlia Charlotte Gainsbourg e Penelope Cruz.
Più realisticamente, anche se temo non capiterà mai, il primo nome che mi viene in mente è quello di una modella freelance catalana, Eva Lunia.
Come scegli invece le location per i tuoi scatti? Quali sono i luoghi in cui ami di più fotografare?
Se potessi , scatterei sempre in esterni. Il ritratto mi piace sempre in qualche modo ambientato.
Cerco di fare in modo che ci siano più punti di attenzione, che lo sfondo sia interessante quanto il primo piano.
A volte basta un oggetto o un qualcosa appeso sulla parete di sfondo.
In esterna le linee prospettiche fanno tantissimo.
Per quello amo le stazioni ed i treni con le loro linee parallele e i punti di fuga di binari e cavi.
Ti permettono di giocare con la composizione dell’inquadratura in una maniera che, quando ti ci abitui, trovi d’istinto senza bisogno di studiare troppo il taglio e cercando di cogliere l’attimo giusto.
Il tuo motto è “Ceci n’est pas un boudoir”. Cosa intendi con questa frase?
“Boudoir” è , insieme a “nudo artistico”, la definizione che trovo più stucchevole e para…vento che ci possa essere.
Penso che il più delle volte serva solo a dare una patina pseudo elegante a foto legate a certi clichés stantii e visti mille volte (le pose sul letto coi tacchi e cose del genere).
Parafrasando Magritte ho cercato di sottolineare come provo a tenermi istante da certi stereotipi.
Peccando di superbia e forse di snobismo, lo ammetto.
Cos’è per te l’erotismo?
Una componente che, in forme e misure diverse, fa parte della personalità di ognuno di noi. Io ne ho una visione molto legata alla quotidianità e alla spontaneità. Mi interessa raccontarla e ritrarla quando si esprime naturalmente.
Quali sono i tuoi fotografi preferiti? C’è un fotografo o una fotografa a cui in parte ti sei ispirato o ti ispiri?
Scegliendo di fare un solo nome, dico JeanLoup Sieff. Mi è capitato che qualcuno mi dicesse che le mie foto hanno un qualcosa anni ’70 e un qualcosa di francese, quindi un po’ ci ho preso.
Qual è il tuo rapporto con i social e cosa ne pensi della censura che si attua in queste piattaforme virtuali?
Coi social ho un rapporto di amore/odio. Non posso negare che soprattutto Instagram è stato per me fondamentale.
Anche se non condivido la loro politica censoria che trovo basata su parametri assurdi e troppo americani, ho scelto di stare alle regole del gioco.
Per quanto non riesca a condividerle, ho trovato un mio modo per farne un gioco e cercare di integrare la censura in una idea di composizione che non svilisca troppo lo scatto.
Giuseppe, la nostra intervista termina qui ma prima l’ultima fatidica domanda sul tuo futuro e le tue speranze. Stai lavorando a qualche nuovo progetto ? Quali sono i tuoi sogni da fotografo e cosa ti auguri per il tuo futuro a livello personale?
Sto pensando ad un racconto fatto di scrittura, fotografia e illustrazione. Essendo conscio della mia innata lentezza, so che i tempi non saranno brevi.
Per il resto spero di continuare ad incontrare le belle persone che ho conosciuto in questi anni.
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