La fine del mondo.
Un racconto scritto da Francesco Aiello.
Era stata una sua proposta. E io avevo assecondato. Pensavo sarebbe stato divertente. Ma il risultato non mi diede soddisfazione. Lui se ne accorse, mentre stava lì in basso a darsi da fare con il dildo. “Che cè? Non ti piace?”. Me lo chiedeva ogni due minuti. Io rispondevo di sì, sperando che mi sarei abituata e che sarebbe andata meglio. Ma non ci fu niente da fare. Saliva e lubrificanti non aiutavano.
“Mi hai detto che volevi provare…”
Cercai di essere pacata nel tono, per non deluderlo o farlo sentire in colpa. “Continua a piacermi l’idea… è l’oggetto che non va.”
“Il dildo? Ne possiamo comprare un altro. Anche se questo è uno di quelli buoni.”
“No, no… non voglio un altro dildo. È roba… morta.”
“Eh?”
“Sì, è una cosa morta, inanimata, che mi entra dentro. Non riesco a non pensarci.”
“Beh, era questo lo scopo, no? Non dovevo entrare io e fare entrare qualcos’altro. Doveva essere questa la novità.”
“Hai ragione, lo so. Ma dobbiamo cambiare oggetto.”
“E cosa vuoi usare?”
“Qualcosa di vivo.”
“Tipo?”
Mi presi una pausa. Non perché non sapessi cosa dire, ma perché avevo timore della sua reazione.
“Una pianta.”
“Mmmm…”, mugugnò ma capii che non era perché si sentisse spiazzato dalla richiesta. Stava già pensando alla soluzione. “Ne ho una sul balcone. La vado a prendere?”
“Adesso?”
“Proviamo”. Non ci fu bisogno di rispondere. Si alzò dal letto, si coprì con un asciugamano e uscì dalla stanza. Rientrò con il vaso tra le mani, lo reggeva con delicatezza, come se fosse un oggetto sacro.
“Un elleboro”, dissi.
“Eh?”
“Il fiore, è un elleboro”, gli spiegai.
“Ah, non sapevo si chiamasse così. Preferivi altro?”
Scossi il capo. Una scossa di adrenalina mi infiammò il petto. Si avvicinò e mi guidò sul bordo del letto. Poi, senza fretta, mi invitò ad allargare le gambe. E iniziò a far entrare i petali, uno per volta. Le pareti della vagina erano sensibili a tutto, riuscivo a sentire la vita del fiore, le sue pulsazioni, ansimavo. Lui chiese: “Va bene così?”. Assentii, senza riuscire a parlare, ero in affanno. “Continuo?”. Con una mano gli afferrai il polso e gli feci capire che volevo che continuasse a spingere. Lui obbedì, mentre teneva lo sguardo fisso sul mio viso, non voleva perdere nessuna delle mie reazioni. La pianta era ormai tutta dentro. “Ora che faccio?”. Presi fiato e riuscii a dire “Annaffiala”. Lui si precipitò in cucina, io crollai sul letto, con gli occhi chiusi, in attesa che tornasse. Neanche lo sentii rientrare. Mi accorsi che era lì ad annaffiarla solo quando sentii che la pianta, nella mia vagina, si rinvigoriva. Mi sollevai sui gomiti e non riuscii a trattenere un urlo.
Provai a placarmi per un attimo, “Togli il vaso”, gli dissi e da come mi uscirono le parole dalla gola non credo si potesse capire se il mio era un ordine o una supplica. Lui sembrava non aspettasse altro. Spinse dentro anche la terra umida. Lo afferrai dalla nuca e lo baciai, come se volessi inghiottirlo. Gli sussurrai nell’orecchio “Ancora”. Esitò e poi di nuovo uscì di corsa. Si ripresentò con un ficus benjamin alto quasi quanto lui. “L’ho preso sul pianerottolo”, mi disse e si mise all’opera. Con calma, riuscì a farlo entrare tutto. Le piante erano vive, dentro di me. Le sensazioni partivano dalle pareti della vagina per arrivare allo stomaco, ai polmoni, al cervello. Mi sentivo più grande. Mi alzai in piedi e mi resi conto che toccavo quasi il soffitto con la testa. Lui mi guardò dal dal basso verso l’alto. “Cazzo” disse, non avendo il pudore di trattenere un ghigno. “Entra”, gli feci, e anche la voce mi sembrava diversa, più potente. “Da dove comincio?”, mi domandò, osservando il mio culo gigante, le tette enormi. La vagina, una caverna. Non gli risposi. Cominciai dalla testa e lo feci entrare tutto. Piangevo dalla goduria e sentivo che lui, dentro, rideva. Diventai ancora più grande e non mi accontentai. La mia figa aveva fame. Uscii in strada e velocemente raggiunsi il bosco più vicino. Pini. Alti. Verdi. Vivi. Ne accarezzai uno, lo leccai. Volevo farlo eccitare tanto
quanto mi sentivo eccitata io. Poi iniziai a farlo entrare dalla cima. Mi presi il mio tempo, per godermelo tutto. Le foglie, i rami, il tronco… reagivano tutti e facevano l’amore con me. Continuai così per giorni. Ulivi secolari, sequoie, baobab. Venivo e mi buttavo alla ricerca di qualcos’altro. Di vivo. E, intanto, diventavo sempre più grande. Potevo poggiare i piedi sul pianeta e osservarlo dall’alto, ormai. Blu, verde, marrone. Acqua, piante e terra. Volevo fare entrare tutto. Mi chinai e cominciai dall’Antartico. Il contatto con ghiaccio mi scosse ma continuai. E le labbra selezionavano da sole quello che doveva entrare. Automobili, fabbriche, case e grattacieli, discariche rimanevano
fuori. Tutto il resto, acqua, piante e terra, entrava e vibrava. Raggiungi l’orgasmo. Potente. Il più potente mai avuto.
Alla fine era tutto nel mio ventre. Vi poggiai sopra le mani e, finalmente, mi placai. Afferrai le ginocchia cingendole con le braccia e decisi di concedermi un po’ di riposo. La luna girava intorno a me e io, insieme agli altri pianeti, giravo intorno al sole. Sentivo il suo calore prima sul viso, poi sulla schiena. Rimasi così non so quanto tempo. Secoli forse. Poi fui di nuovo sveglia, vigile. Cambiai posizione. Mi stiracchiai un po’, allargai le gambe e esposi la fica al sole. Il calore mi eccitò di nuovo, mi fece venire ancora fame. Guardai il sole, sorrisi e pensai: “Chissà se ci entra?”.
Francesco Aiello
Francesco Aiello, nasce a Cosenza il 1981. Durante gli anni universitari inizia il suo percorso teatrale con la compagnia Libero Teatro. È stato diretto da Max Mazzotta, Francesco Suriano, Francesco Marino, Lindo Nudo e Anna Carabetta ed Eimuntas Nekrošius. Ha debuttato come regista/drammaturgo nel 2017 con L’incidente – Io sono già stato morto, con cui si aggiudica tre premi al concorso NoPS Out del teatro Tor Bella Monaca di Roma. Ha diretto Confessioni di un masochista di Roman Sikora, ha scritto e diretto Lucciole. Di insetti, punk e Calabria paranoica. Per il cinema ha lavorato in diverse pellicole fra cui Fiabeschi torna a casa.
Maria Giulia Chistolini
Maria Giulia Chistolini, nata in Umbria (Marsciano, PG) nell’Ottobre del 1997. Fin da piccola è sempre stata un po’ in un mondo suo, a cui riusciva a dare forma attraverso bizzarri e buffi disegni. Non è cambiato tanto, e tutt’ora utilizza questo mezzo per esprimere cose non apparenti, tra metafore, ironia e profondità.
Illustratrice e graphic designer, è laureata in Design della Comunicazione al Politecnico di Milano, dove sta ora conseguendo la magistrale. Ha i capelli molto biondi e un senso dell’umorismo particolare.
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Instagram: @accappa.toio
La rubrica senza filtri è a cura di T-Squirt con la necessaria e preziosa collaborazione di Elena Giorgiana Mirabelli, redattrice e responsabile progetti di Arcadia book&service.
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