La ragazzina
di Belial
– Sei pronto?
– Sì.
– Ti aspetto a casa. Tra poco. Anzi, subito.
– Arrivo.
***
Martina mi fa entrare e mi dice di chiudermi in camera sua, nell’armadio.
Nell’armadio?, chiedo.
Sì, chiuditi e non aprire per nessuna ragione.
Mi porta in camera, mi spinge dentro.
Volevo dirti che sei be… Non mi lascia finire. Mi spinge delicatamente tra i sui vestiti
appesi e chiude l’anta. Mi sento come in un film, ma l’agitazione svanisce appena gli odori dei suoi vestiti mi penetrano nei polmoni, provocandomi un dolce ottundimento.
Vedo Martina dalle fessurine di un’anta. Si toglie il pantalone della tuta e lo getta via. Fa così anche con la felpa. In mutandine e top, si getta sul letto, accavalla una gamba sull’altra e non fa più nulla.
Resto perplesso. Vuole giocare? Vuole che ad un certo punto io esca e la prenda sul letto, come se fossi un ladro che approfitta di lei?
Martina la conosco da poco. Quali sono i suoi giochi preferiti? Preferisce la violenza o le dolci romanticherie?
Nell’armadio vengo avvolto da quelle stoffe che mi paiono tutte così delicate, come sudari nei quali riposare in eterno. Col piede scosto quella che deve essere una scarpa di Martina. Mi piego lentamente e la raccolgo. Sì, è una sua scarpa. Una Converse. La riconosco, le indossava ieri. Avvicino la scarpa al naso, e annuso la tenerezza del suo odore. Eccolo, il mio paradiso, il mio seppellimento prematuro, la mia quiete.
Ma i sensi, al contrario, si sono svegliati, e un’erezione spinge nei pantaloni.
Martina è impaziente. O almeno così mi pare. Alza e abbassa il piede, ogni tanto lancia uno sguardo verso l’armadio.
Restare a guardarla immobile? Gliene sarei grato ugualmente, ma l’erezione, alla quale ho poggiato la scarpa che poco prima annusavo, pretende di più.
Quando decido di uscire e avventarmi su di lei, la porta della stanza si spalanca e io mi ritraggo, in silenzio.
***
Nella stanza è entrato Federico, il fratello di Martina. Con la stessa furia con cui ha
spalancato la porta, ora la chiude, girando la chiave due volte.
I due fratelli stanno in silenzio. Si guardano.
Non ne capisco il senso, e fatico a capirne il mio ruolo.
Martina, intanto, ha scavallato la gamba e ora le tiene stese entrambe, quasi divaricate.
Vorrei fissarle il triangolino colorato tra le gambe che mi preme ancor di più il glande, ma devo vedere cosa fa il fratello.
Spero che non apra l’armadio. Non saprei come giustificarmi, non saprei come reagire.
Federico si avvicina a Martina, che finge di guardarsi le unghie, con noncuranza. Poi fissa Federico, con quello che mi sembra un sorriso malizioso.
Il cuore mi batte così forte che d’istinto poso sul mio petto la scarpa di Martina che sto stringendo in mano. I dolci piedi di Martina che da settimane sogno d’averli sul mio petto, sul mio viso. I piedi di Martina che ammiro in segreto, che sogno di spogliare e adorare, poggiando la mia guancia sulle sue piante lisce e bianche e lì riposare, trovare la pace.
Dio, perché il mio paradiso deve bruciare come l’Inferno!
***
Poi tutto cambia.
Federico si leva il maglioncino guardando Martina. Il suo petto è glabro, senza muscoli, ma delicato, magro. Si porta le mani alla cintura, indeciso. A parlare per lui è l’erezione che deforma la patta del suo pantalone. Martina gira la testa e guarda proprio lì, tra le gambe di suo fratello.
Martina mi ha chiuso nell’armadio per farmi assistere a questo gioco. Mi chiedo da
quando, i due fratelli, facciano quello che, sono sicuro, succederà ora.
Perché Martina gli posa una mano sulla cintura e la slaccia e poi, con uno strattone di entrambe le mani, gli abbassa pantalone e mutanda. Come in una gag, il pene eretto di Federico scatta a mo’ di molla sul naso di Martina, che sogghigna. Rido anche io, spiandoli. Federico invece chiude gli occhi. E quando Martina gli tocca la punta, sono sicuro che eiaculerà.
Federico resiste alla mano di Martina. Poi lo prende in bocca. Lo fa con una delicatezza e un’eleganza che mi commuovono.
Sono rapito dalla scena che vedo. Dalla scena che mi sta regalando Martina, il mio amore.
Ti amo, Martina. Ti amo perché stai scopando con il tuo bellissimo fratello. Ti amo, perché tu e lui siete due angeli perversi. Ti amo perché hai costruito una performance per i miei occhi di spettatore.
Ti amo, sussurro, toccandomi il membro, su e giù, libero dalla biancheria.
Dio ci guarda dall’alto. Ci ha creati per ammirare il nostro spettacolo.
***
Capisco che Federico ha eiaculato dalle sue urla strozzate e dalla foga con la quale
Martina ne succhia il seme.
Ho le vertigini, il cuore in gola e il mio pene spruzza all’interno dell’armadio, imbiancando le porte delle ante, i miei pantaloni, le scarpe di Martina che ho azzannato coi denti mentre mi toccavo.
Dopo aver finito, Martina si leva ordinatamente il pene di suo fratello dalla bocca, si porta un fazzolettino alle labbra per pulire l’alone dello sperma e poi esce dalla stanza.
Federico si lascia cadere per terra, sussultando per quello che mi sembra un pianto
sommesso.
Chi sei, Martina, amore mio? Cosa ci stai facendo? Perché ho bisogno d’amarti?
***
Uscito Federico, mi ricompongo e decido di andar via. Mi tremano le gambe, ho paura, voglio scappare.
Sono stato degno della tua perversione, Martina?
***
Cerco l’uscita, ma entro nel campo visivo di Federico. Siamo davanti la porta della cucina.
In casa non c’è nessun’altro.
Martina decide di ignorarci. I piedi scalzi lasciano delle piccole impronte umide sul
pavimento. Si avvicina al frigo e inizia a bere del latte freddo direttamente dalla bottiglia.
Non le importa di far rumore né di lasciare che il latte scivoli giù lungo il mento, sulla
maglietta fino alle mattonelle lerce.
L’attenzione di tutti è su di lei. Sui piedi nudi. Sul latte che continua a scenderle in gola e sulla maglietta sottile. Le vediamo i seni acerbi. Sentiamo il suo odore aspro.
E capisco che di amarli entrambi.
Belial
Belial, detto il “malvagio” (o anche Devy, Barons,’Belhor, Baalial, Beliar, Beliall, Beliel; dall’ebraico בליעל bəliyyáʻal, “senza valore”, “niente di buono”, o anche beli ya’al = “per non rialzarsi mai”, o ancora baal ‘ia’l, “falso dio”, “idolo” o “dio superbo”, “arrogante”) fu una potente figura mitologica demoniaca dell’Antico Testamento e, in genere, di tutta la antica tradizione giudaica, a volte usato come sinonimo di Satana, ma in alcuni casi identificato come il serpente che tentò Eva, esattamente come avvenne per la figura mitologica demoniaca di Asmodeo; pare che fosse adorato dai Sidonii, e fu anche il 68° spirito nel testo della Piccola Chiave di Salomone. Nella tradizione mitologica ebraica non è esattamente un nome proprio, bensì un nome comune, il cui significato sarebbe colui che è privo di valori.
(bio da Wikipedia)
Antonio Proietto
Nella vita è un allenatore di nuoto, ma il destino, o chi per lui, gli ha regalato una dote sublime.
L’estro nel disegnare è tutta farina del suo sacco, mentre invece deve al suo vissuto l’abilità nel descrivere il mondo che ci circonda.
E lo fa in maniera cinica, sincera, aspra ma a volte anche divertente. Osservando alcuni suoi lavori si è portati a sorridere, ma non in maniera leggera e spensierata. No. E’ quel sorriso che lascia subito spazio all’amarezza dovuta ad una verità sbattuta in faccia.
Questo è un estratto della nostra intervista ad Antonio Proietto. Leggi l’intervista CLICCANDO QUI.
Contatti
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Instagram: @antonio.sapiens
La rubrica senza filtri è a cura di T-Squirt con la necessaria e preziosa collaborazione di Elena Giorgiana Mirabelli ,redattrice e responsabile progetti di Arcadia book&service.

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