“L’erotismo non è solo presente nella biologia umana. Ma è presente, pesantemente, anche nella fotografia; in tutta la fotografia e in tutta la sua storia. Che si faccia nudo, ritratto classico, paesaggio, foto d’architettura, il corpo mentre fotografa ha un appagamento sensoriale impressionante”. Anna Morosini

Le sue fotografie sono esoteriche, nel significato puramente letterale della parola. Nell’intimo di ogni sua foto esiste, infatti, un concetto da esplorare, un pensiero da scoprire, domande da porsi. Ammirando i suoi lavori si comprende subito come la macchina fotografica sia un prolungamento naturale del suo corpo, l’obbiettivo è il suo terzo occhio e il risultato sono delle foto vive, con un anima e per questo motivo bellissime, come tutte le cose in cui si avverte la sincerità, la purezza. Stiamo parlando di Anna Morosini, fotografa nata a Foligno nel 1987 , e dei suoi scatti instrisi di un sottile erotismo e di una reale umanità.. Il corpo ha una valenza importante per la fotografa umbra, tanto come tema da studiare e fotografare che come “unica cosa che ciascuno di noi possiede realmente”. Estremamente fisico è anche il suo rapporto con la fotografia La stanchezza dopo uno shooting, la sofferenza fisica nel non riuscire a fotografare qualcosa che vorrebbe immortalare, l’appagamento sensoriale dopo una sezione fotografica. Tutte queste sono sensazioni che magicamente vengono trasmesse nei suoi lavori. Forse è proprio questo che ci attrae delle sue foto, questa pienezza di sensazioni emotive e fisiche sintetizzate in uno scatto.
La sua passione e la sua competenza hanno portato Anna a realizzare workshop partecipatissimi in cui analizza gli sviluppi e le possibilità della fotografia di nudo. Già fissati gli ultimi due appuntamenti di “Naked/Nude” del 2018 si terranno il 17 giugno al Caos Centro Arti di Terni e a fine settembre in Veneto, per cui vi consigliamo vivamente di aderire già da ora, è un’esperienza imprescindibile per chi vuole avvicinarsi a questo mondo. Fin qui avete letto impressioni ed emozioni di chi ama i lavori di Anna, ma l’unico modo per conoscere qualcosina in più su di lei e ascoltare le sue risposte alla nostra intervista. Non indugiamo oltre allora e diamo spazio alle parole, alle foto, di Anna Morosini.
Domanda.Grazie per la tua disponibilità Anna, siamo davvero felici di poterti intervistare. La prima curiosità riguarda i tuoi inizi. Sappiamo che hai iniziato a fotografare già da bimba, cosa ti piaceva fotografare e cosa ti ha fatto innamorare della macchina fotografia?
Risposta.Ciao ragazzi, intanto grazie a voi. Come ho detto molte volte, la pratica di fotografare è sempre stata familiare per me perché appunto facente parte della quotidianità. Ho sempre visto mio nonno e mio padre fotografare. Di tutto: se stessi, me, la famiglia, gli amici, che fosse un pranzo domenicale, una festa di compleanno, uno scorcio in vacanza, il gatto che riposa. Le fotografie hanno accompagnato e contribuito a costruire il mio immaginario personale, la mia coscienza sul concetto di tempo, di famiglia, di amore, di perdita e di appartenenza; credo che mi piaccia fotografare, alla fine, le stesse cose che ho visto in altre fotografie. Fare una foto e guardare, finchè non mi sono imposta di non cedere alla bulimia della “raccolta” di immagini, probabilmente per lungo tempo per me hanno coinciso.
Un aneddoto che, da grande, ho capito essere stato fondamentale per capire cosa “mi piace fotografare” riguarda la mia primissima infanzia: mio padre quando ero piccola aveva un laboratorio dove restaurava affreschi antichi e dove spesso lo andavo a trovare e ricordo che mi mostrava, come tesori – e quindi mi fotografava e stampava per conservarli – quei particolari che il pittore di turno aveva nascosto nell’opera (ndr: opera che in tutti i casi era a tema religioso) piccoli diavoli, animali, angeli, teschi…particolari insomma che solo ad un occhio attento, non superficiale, sensibile e propenso alla curiosità potevano non sfuggire. Adoravo quel senso di scoperta derivante esclusivamente dall’attenzione: non serviva distruggere coperture, fare domande, togliere veli. Bastava guardare. E quando scovavo il gatto sotto il tavolo, il diavolo dietro il lembo di velo, la nuvola che svelava piccole ali, mi chiedevo cosa il pittore (e a chi!) avesse voluto comunicare, cosa avesse in mente.
Nella fotografia mi succede la stessa cosa e credo sia ciò che mi ha fatto innamorare.
D.Dopo la laurea in Lettere Moderne decidi di specializzarti nell’arte visiva con un master sull’Immagine Contemporanea nella Fondazione Fotografica di Modena. Cosa ti ha spinto a scegliere questo percorso artistico?
R.Banalmente, ho vinto una borsa di studio. Non riuscivo a passare l’ultimo esame all’università, nonostante avessi una media molto alta e la tesi pronta. Presentai curriculum e portfolio e venni scelta. Sono stati due anni molto intensi, per la prima volta mi è stato chiaramente detto che ciò che facevo aveva dei limiti enormi. Che la fotografia non è una bella composizione, non è saper gestire la luce. Una buona fotografia non è una bella fotografia. O almeno non solo. Non ho mai fatto così poche foto come quei due anni. E da lì ho imparato che le fotografie che non scatti, spesso, sono le più importanti del tuo percorso.
D.Facciamo un viaggio nel passato Anna. Ci siamo infatuati di te artisticamente nel 2012, grazie al progetto “The Deep Surface. Le foto di questa serie sottolineano come il nostro “io” riesce a comunicare anche, e forse in maniera più sincera, con il nostro corpo. La pelle, il tatto e il corpo sono un linguaggio che tu sei riuscita a decifrare in scatti. Dopo un anno, siamo nel 2013, la nostra infatuazione diventa amore, con il tuo progetto “The Body Space”. Ancora una volta il corpo protagonista assoluto,Come nascono questi progetti? Se dovessi dare una tua definizione di corpo oggi quale sarebbe?
R.I due progetti che hai citato sono praticamente le uniche cose che ho prodotto in due anni in Fondazione Fotografia. Sono esercizi che ho fatto per scavare a fondo e capire il perché mi interessasse così tanto il tema del corpo. Una cosa che ho capito è che per me fotografare spesso non è il tentativo di comunicare dei concetti o dare delle risposte. Dalle fotografie traggo spunto per pormi domande. Ecco perché non concepisco la fotografia come un processo del tipo: “ho questa idea in testa e ora la costruisco e finché non la riproduco non sono felice”. Lo trovo di una noia mortale.
In ogni caso, dopo anni di studio e ricerca, potrei dirti di aver capito che il corpo è l’unica cosa che ognuno di noi possiede, dal primo all’ultimo giorno della propria vita. L’unica. E bisogna farci i conti, scendere a patti, imparare a comunicare, a trovare compromessi, a capirsi, ad accettarsi, vicendevolmente.
D.Parliamo di un altro tuo progetto, forse ad oggi quello più importante: “Loop”. La serie nasce nel 2016 ed è costituito da ben 42 fotografie. Il soggetto è un cavallo nel suo recinto, i suoi movimenti ripetuti, in loop appunto. Uno dei concetti di questo imponente progetto è la consapevolezza dei nostri limiti, non naturali ma imposti dai noi stessi, dall’educazione o comunque da fattori esterni. Ma preferiamo sia tu a spiegarci e a parlaci di questo progetto, com’è nato e concettualmente cosa vuole trasmettere?
R.Loop nasce in un giorno di nebbia e pioggia sottile dell’inverno 2016. Un giorno che si è trasformato in diversi giorni, perché continuavo a tornare, a pensarci. Non ho capito subito cosa mi tenesse incollata a quel recinto bianco e a quel cavallo nero. L’ho capito solo quando mi sono convinta a rischiare, e portare la macchina fotografica. All’inizio sono entrata con lei (nb: il cavallo è una femmina e si chiama Lulù), ma non era giusto. Ho fatto foto molto belle in quel caso, il corpo del cavallo in movimento, da vicino, è impressionantemente attraente. Per questo mi sono dovuta allontanare. Emotivamente e fisicamente, quella vicinanza mi coinvolgeva, mi stordiva, mi appagava. Non era ciò che contava però. Ho scelto un punto di vista lontano, ho messo il cavalletto e ho aspettato. Scattando regolarmente, per ore.
Il progetto è composto da 42 fotografie perché quando l’ho esposto la prima volta non avevo abbastanza soldi per fare una selezione più ampia. Nella sua veste di partenza sarebbero dovute essere un centinaio di stampe montate in plexiglas. In ogni caso, Loop è una serie di fotografie che si comportano come specchi: una contiene tutte le altre e viceversa. Il corpo stesso del cavallo e il recinto in cui si muove, hanno lo stesso significato. Il cavallo potrebbe saltare il recinto ma non lo fa. Uscirne implicherebbe smettere di far parte di un sistema da cui deriva la sua sopravvivenza (il recinto è il luogo dove viene addestrato ma anche il posto dove viene fatto sfogare dopo ore in stalla): pur essendo libera di muoversi, Lulù percorreva sempre le stesse traiettorie, ogni tanto buttandosi a terra, scalciando; altre volte bloccandosi di colpo e guardando il vuoto. O fissando me.
Non credo di aver mai fatto un progetto più autobiografico di questo.
D.Finito questo breve excursus nel tuo passato, ritorniamo ad oggi. Prima di realizzare uno scatto, che sia fashion, commerciale o un tuo nuovo progetto, a quali aspetti presti maggiore cura? Come ti approcci alla foto fashion, a quella commerciale e quella ritrattistica rispetto all’approccio che hai nei tuoi progetti personali?
R.Ti direi sempre nello stesso modo, motivo per cui cerco di chiarire e pattuire prima con il committente le specifiche del lavoro che dovrò svolgere. A parte quelle che sono chiaramente le diversità intrinseche di ogni lavoro, quello che probabilmente mi interessa di più è che non si percepisca finzione. Non mi piace chiedere ai soggetti di ridere, non ridere, aprire o chiudere la bocca, fare un’espressione rispetto ad un’altra. Credo che la bravura di un fotografo sia quella di trasmettere al proprio soggetto le giuste “vibrazioni”, rendendolo partecipe, prima e durante lo shooting, di ciò che si sta cercando di raggiungere. Troppe volte vedo fotografi soverchiare il proprio soggetto, come se egli fosse uno strumento sterile plasmabile liberamente per i propri intenti. La maggior parte delle volte questo metodo crea fotografie molto noiose. A mio parere. So di aver già detto “noioso” in una risposta precedente, ma credo non ci sia aggettivo peggiore per descrivere una fotografia, soprattutto in un momento in cui le immagini prodotte e condivise nel mondo sono esponenzialmente moltiplicate rispetto al passato.
D.Hai esposto in gallerie in tutta Europa, pubblicato i tuoi lavori in alcuni dei magazine più importanti del settore. Qual è stata la tua più grande soddisfazione, ad oggi, nel campo della fotografia?
R.Non saprei, forse il progetto Fourlines, che ho fatto nel 2010 con altri tre fotografi comprando i fondi di magazzino di Polaroid che aveva appena fallito e partendo in auto da Bologna fino alle isole Lofoten scattando solo in pellicola Polaroid. E’ stato un progetto molto intenso, molto stimolante, perchè completo, da mesi di fase progettuale, alla ricerca di sponsor (il main sponsor è stato poi Fabrica di Oliviero Toscani), alla creazione e divulgazione di una mostra, alla pubblicazione di un libro che è alla sua terza edizione, vi lascio il link dell’ultima! (it.blurb.com/b/7782192-fourlines).
D.Realizzi workshop sulla fotografia ( anche presso lo Studio Meraki che noi seguiamo con un forte interesse) in cui analizzi gli sviluppi e le possibilità della fotografia erotica o di nudi. Come ti trovi in questo ruolo di insegnante? Ti sono capitati “alunni” o “alunne” particolarmente bravi o brave?
R.Ahahah “insegnante” non è proprio la definizione che mi si addice. E’ stato ed è molto interessante però, perché – e così mi allaccio anche alla tua domanda – il mio corso viene modulato sulle specifiche dei partecipanti che di volta in volta mi trovo davanti. Quindi con ognuno di loro scopro cose diverse, questioni che magari avevo tralasciato, tematiche che non mi erano sembrate così importanti prima di doverle spiegare a qualcuno, o prima che qualcuno me le ponesse davanti. Sono affezionata, grata e orgogliosa di ogni persona che mi ha dato fiducia partecipando al mio workshop. Dico davvero. Colgo l’occasione per comunicare che le ultime due date del 2018 di Naked/Nude si terranno il 17 giugno al Caos Centro Arti di Terni e a fine settembre in Veneto.
D.Nella domanda precedente abbiamo accennato un tema a noi molto caro, l’erotismo. Ci sono miglia di foto e di fotografi e fotografe che si dedicano a questa tema, non sempre con risultati brillanti. Cos’è per te l’erotismo? Quali sono i fotografi o le fotografe che apprezzi maggiormente in questo ambito?
R.Io credo che l’erotismo e la sessualità siano tematiche che troppo spesso vengono confuse con la devianza e l’immoralità. Il corpo umano e la mente umana, biologicamente, sono condizionati dalla sessualità ed è colpa del sistema di valori totalmente sballato in cui ci ritroviamo – nonostante l’evoluzione umana ci consenta di telefonarci battendo le ciglia o raggiungere pianeti distanti anniluce. L’erotismo non è solo presente nella biologia umana. Ma è presente, pesantemente, anche nella fotografia, in tutta la fotografia e in tutta la sua storia. Che si faccia nudo, ritratto classico, paesaggio, architettura, il corpo, mentre fotografa (e chi fotografa sa di cosa parlo) ha un appagamento sensoriale impressionante. Ci si sente sfiniti fisicamente alla fine di uno “shooting”. Se non si può fotografare qualcosa che vorremmo, si soffre. Fisicamente. E anche chi crede che il corpo e quindi l’attrazione (o repulsione) non c’entrino con la propria pratica fotografica, si sbaglia, o mente. Si capisce tantissimo della sessualità di una persona dalle sue fotografie.
Per quanto mi riguarda, per devozione cito i miei capisaldi del genere: Ryan McGinley, Nan Goldin, Ren Hang, Araki. Per quanto riguarda la mia generazione mi piacciono molto: Giulia Bersani, Corrado Dalcò, Alessio Boni.
D.La fotografia ai tempi dei social. Qual è il tuo rapporto con i social e quali credi siano gli aspetti positivi o negativi per un’aspirante fotografo alle prime armi?
R.I social servono a farsi conoscere, hanno il limite di confondere lo spettatore tra la vita vera e la pratica artistica, sovvertendo il concetto di limite tra “conoscere ciò che fa una persona e conoscere la persona”. La maggior parte di coloro che si sono permessi di commentare le mie foto o contattarmi, in bene e in male, l’hanno fatto in modi molto diversi da come lo avrebbero fatto se fossi stata fisicamente presente in quel momento. Il distacco dalla realtà dell’altro come estraneo è uno dei punti di forza ma anche dei punti deboli del sistema social.
Ad una persona che si sta approcciando alla fotografia direi: ogni volta che fotografi qualcosa, chiediti perché lo stai facendo.
D.Anna, la nostra chiacchierata volge al termine. Ringraziandoti nuovamente per la tua estrema disponibilità, ci salutiamo con un ultima domanda , anzi due, riguardante il tuo futuro. La prima è se se stai lavorando a nuovi progetti e se, per i tanti che vorrebbero vedere le tue foto dal vivo, ci saranno mostre dei tuoi lavori. La seconda invece è se hai un tuo sogno professionale che vorresti si realizzasse?
R.Uh, mi piacerebbe da morire fare una mostra. Ci sto lavorando, ho un progetto, per lo più inedito, che cresce in un cassetto da anni e ormai straborda. Vorrei tanto esporlo, mi aiutate voi?
Sogno nel cassetto…tantissimi. Sennò smetterei domani.
Contatti
Sito: annamorosini.it
Facebook: @annamorosiniphotography
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