Per delineare un profilo sull’omoerotismo ellenistico-romano, si è scelto di cominciare con una rassegna di quattro personaggi del mondo classico, la cui vita e la cui condotta possono fungere da illustri esempi. Per cominciare questo viaggio a ritroso nel tempo nel magico mondo dell’arcobaleno, non si poteva che cominciare con Alessandro Magno.
Al nome di Alessandro Magno è certamente legata l’idea dell’impero più grande che l’Occidente avesse mai conosciuto fino ad allora. In poco più di dieci anni – dal 336 al 323 a.C. – Alessandro riuscì infatti ad estendere il suo potere fino all’India (eh be’, mica catsi).
Ma Alessandro conobbe anche qualcosa che travalicò i confini temporali della storia: l’amore per il suo amatissimo Efestione. Evidentemente de magno aveva pure qualcos’altro; me lo immagino infatti ai tempi di Grindr con il nick “AleTopXXL”. Ma torniamo a noi. La grandezza di questo amore è misurabile dall’intensità del dolore che il Macedone provò in occasione della di lui prematura morte; Plutarco racconta infatti che il re fece tagliare la criniera a tutti i cavalli, abbatté i merli dei muri delle città vicine, crocifisse il medico, e non permise che nel campo si sentisse musica di flauti (famo a capisse, “flauti”… non arpe, lire o crotali, bensì i FLAUTI. Vabbe’).
Alessandro giacque poi un giorno ed una notte accanto al corpo del suo amato (cosa che a casa mia se chiama necrofilia, ma soprassediamo) e si rase i capelli per gettarli sulla pira funebre dell’amato.
Si sa che Alessandro ebbe anche amori con donne (noto è il matrimonio con la principessa persiana Roxane), ma Alessandro, anche se macedone, era imbevuto di cultura greca – il padre Filippo, infatti, scelse come suo maestro Aristotele – e tra i Greci, si sa, il vizietto era cosa buona e giusta. Chiamali scemi.
Pare però che Alessandro, nonostante abbia ammaliato uomini e donne, non fosse tutta ‘sta gran bellezza. Ciononostante, ogni volta che mi capita di vedere Colin Farrell nei panni del Macedone, un pensiero mi sorge spontaneo: “Fortunello Efestione, anche a me sarebbe piaciuto fare della dolce musica con il suo…”.
Trasferendoci a Roma, la cui fama è legata oltre che alle vestigia dell’Impero, anche ad una grande passione per il catso, proseguiamo questa piccola rassegna sull’omoerotismo ellenistico-romano focalizzando l’attenzione su colui che ha gettato le basi per la creazione dell’Impero Romano: Caio Giulio Cesare.
“Marito di tutte le mogli, moglie di tutti i mariti” o entrambi? Sulla figura di Giulio Cesare – condita da aneddoti piccanti di stampo calunnioso – sono stati spesi fiumi di parole tali da far impallidire persino i Jalisse. La mania per la sua sessualità deriva da un’accusa presto fatta: fu probabilmente amante, in giovinezza, del re di Bitinia Nicomede IV. Venne accompagnato da tale pettegolezzo con tanta insistenza, vita natural durante, da esser costretto a chiarire la questione anche sotto giuramento – e naturalmente per amor di pace dichiarò sempre l’insussistenza del fatto.
Nella società romana non esisteva un discrimine netto tra rapporti omo ed etero, era invece diffusa entro certi limiti una sorta di bisessualità di retaggio ellenistico. Era dunque una società ambigua, ma non aperta: la discriminazione si compiva non tanto sul genere, quanto sul ruolo che gli uomini ricoprivano durante un amplesso
omoerotico. Nella temperie culturale romana, patriarcale e maschilista, il ruolo attivo non era motivo di biasimo quanto quello passivo, che Cesare avrebbe ricoperto con Nicomede, per via di motivazioni a matrice patriarcale e maschilista su cui, in fondo, è inutile dilungarsi. Dai Romani abbiamo sì ereditato il Colosseo, ma forse anche parecchia mascolinità tossica, per cui oggi siamo costretti a farci sanguinare gli occhi di fronte all’ennesimo profilo Grindr: only top/ no fem/ mask cerca pari.
Curiosamente, il nomignolo su cui i contemporanei di Cesare ridacchiavano maggiormente alle sue spalle era “regina di Bitinia”: immaginare che negli anni Novanta (d.C.) i compagni delle medie ci affibbiassero soprannomi al femminile di matrice simile per via di un’omosessualità dagli altri presunta dovrebbe disporci alla volontà di una rottura del ripetersi circolare della Storia.
Inoltrandoci nell’Impero, uno degli indiscussi protagonisti dell’omoerotismo ellenistico-romano è sicuramente Adriano, e l’amore che legò l’imperatore al giovane Antinoo.
Un amore forse anche un po’ ostacolato e che fece storcere il naso a qualcuno (in primis quello della moglie di Adriano, che subodorata la possibilità di essere in qualche modo messa da parte, avrà pensato che il marito stesse pestando i piedi alla troia sbagliata), come del resto lo fu quello tra il conte Ristori e la sua Elisa Scalzi.
Adriano fu imperatore dal 117 al 138 d.C., ed il suo fu un impero all’insegna dalla tolleranza e dallo splendore delle arti, imbevuto di cultura greca (e sappiamo cosa dai Greci venne ereditato oltre le arti e le lettere).
Importante fu il 124 d.C., anno in cui si incrociarono le vite di Adriano ed Antinoo, bellissimo giovane proveniente dalla Bitinia. Da quel momento Antinoo entrò a far parte dell’entourage dell’imperatore, tanto da diventarne l’amante. Come biasimare Adriano? La carne fresca ha sempre avuto il suo fascino.
Antinoo seguì il suo sugar daddy in tutti i viaggi che l’imperatore effettuò, fino ad arrivare, nel 130 d.C., in Egitto, luogo dove il giovane trovò la morte annegando nel Nilo. Le circostanze della sua morte sollevarono molti dubbi, e tra le ipotesi vi è anche quella secondo cui mandante dell’omicidio fu Sabina, moglie di Adriano, la quale, protagonista ante litteram di uno dei migliori episodi di Beautiful, gelosa del giovanissimo amante del marito, si sarebbe in questo modo sbarazzata del ragazzo e della possibilità che egli venisse designato quale erede dell’imperatore.
Che si sia trattato di omicidio, suicidio o incidente, una cosa è certa: Adriano divinizzò la sua “animula vagula blandula” dopo la sua morte, come testimoniano le innumerevoli statue che raffigurano Antinoo come un dio. Ma l’imperatore andò oltre, fondando ex novo una città nel luogo in cui Antinoo perse la vita, e dedicandola al suo amante: Antinopoli.
Imparate, voi maschi tossici che pensate che per dimostrare l’interesse verso qualcuno basti, dopo un ghosting di mesi, una dick-pic inviata alle 4 del mattino dopo il terzo negroni. Nell’Antichità è esistito un uomo che per dimostrare al mondo la forza del proprio amore, regalò al suo amante l’immortalità.
Last but not least, per questo articolo sull’omoerotismo ellenistico-romano continuiamo con il personaggio più sessualmente discusso che Roma abbia conosciuto: Eliogabalo.
La biografia di Eliogabalo presenta punte di fascino e capricci mondani che nulla hanno da invidiare alle bio di star più recenti come Liz Taylor, per dirne una, con cui il nostro imperatore condivide lo stesso numero di matrimoni: egli sposò cinque donne e due uomini, a dire di fonti più malefiche della lingua del compianto Sandro Mayer. E come la Taylor, anch’esso assume un suo spazio nell’olimpo delle icone gay, sia sul piano pop che su uno maggiormente ideologico.
Come è emerso, (quasi) tutti gli imperatori furono un po’ gay, ma in questo caso la componente queer giocò un ruolo determinante nella sua caduta, rendendolo fortemente inviso al Senato, al popolo e all’esercito.
Lo strale più duro da sopportare per i bigotti senatori dovette essere però la sua libertà di costumi sessuali: scrissero di lui che si deliziasse nelle arti del trucco e del travestimento, si prostituisse agli uomini, si facesse chiamare “l’amante, la moglie, la regina di Lerocle” (uno dei suoi amanti più longevi e cari). Cassio Dione riporta persino che avrebbe offerto metà dell’impero al medico che sarebbe riuscito a operarlo per un cambiamento di sesso.
La parabola di Eliogabalo terminò rovinosamente con una congiura ai propri danni, in cui fu infine straziato per le vie di Roma e poi gettato nel Tevere. Sebbene le infamie sulla sua sessualità e sul suo genere siano la “prova del martirio” che lo consegna al suo stato di icona, bisogna considerarle alla luce di una cultura denigratoria nei confronti del diverso e del non-virile: sarebbe meglio accettare la lezione che ci lascia Mario Mieli su di lui, ricordandolo come colui che, nelle azioni della propria vita “realizza in se stesso l’identità dei contrari, ma non la realizza senza fatica, e la sua pederastia non ha altra origine che una lotta ostinata e astratta tra il maschile e il femminile”.
Dunque, con questi pochi esempi si riesce a comprendere come ed in che misura l’omosessualità sia connaturata al genere umano, quindi non ci si lasci intimidire dalle parole, dalle insinuazioni e dalle offese di un Adinolfi o di un qualsiasi MBEB, ma citando il Casto Divo, colui che tutto muove e per l’universo penetra e risplende, “non stare zitto in un Paese che ti ignora, esci allo scoperto quando verrà l’ora”.
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