Punkcore, un progetto fotografico di Siren Deti

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© Siren Deti
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PUNKCORE, un progetto fotografico di Siren Deti

Da Aprile 2023 ad Aprile 2024, Siren Deti lavora a una serie ritratto sulla scena punk hardcore romana che scrive i testi in Italiano. La sua ricerca punta dritto al cuore del punk per andare al di là e oltre l’immaginario a cui è circoscritto e ridotto. Il risultato è un racconto estimo, erotico, e romantico sull’altra faccia del punk, quella che fa a meno dei personaggi per lasciare invece il posto all’intimità creativa di artisti alle prese con il femminile, costantemente presi e persi nel rapporto singolare con il proprio desiderio.

Punkcore, un progetto fotografico di Siren Deti
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Ciao Sabrina, è un vero piacere intervistarti per quello che a prima vista potrebbe sembrare un off topic di Queef Magazine. Persone, anime, della scena punk romana ed erotismo. Ma prima di parlare nel dettaglio di questo, iniziamo dalla scelta del nome del progetto: PUNKCORE. Perché questa scelta?
Enrico innanzitutto sono io che ti ringrazio per avermi dato l’opportunità di parlare di PUNKCORE su Queef Magazine. PUNKCORE è il neologismo che un pomeriggio, passeggiando per le strade del mio quartiere, ho letto scritto su uno dei muri del Pigneto. Non so chi ne sia l’artefice, so solo che quel giorno ero alla ricerca di un nome per la serie che avevo appena preso a scattare sulla scena punk hardcore romana. Quando ho letto PUNK + HARDCORE = PUNKCORE ho immediatamente pensato che quell’equazione di vernice rossa sul muro, fosse la chiave giusta per identificare la narrazione che avrei tenuto a sviluppare con la mia ricerca. Non volevo raccontare la scena attraverso la performance sul palco e la fotografia in bianco e nero. L’intenzione era di sovvertire completamente l’immaginario e raccontare invece il rapporto singolare che ciascuno intrattiene con la parola, la scrittura, e la musica. Non sono mai stata interessata ai personaggi né al grottesco ma a un ritratto intimista delle sensibilità che ciascuno di loro incarna con il proprio corpo e storia di vita. Volevo realizzare una serie sul valore eversivo che abita quei testi urlati in modo incomprensibile, consumati al ritmo veloce di pochi minuti e suoni distorti, e in cui è tutta la cifra di una urgenza, di una testimonianza e di un malessere in cui sempre mi sono riconosciuta e trovata. Come sai, ogni progetto fotografico che con Siren Deti ho realizzato in questi sei anni, fa a meno di una macchina professionale, ha luogo di giorno ed è no editing no filter. Ho pensato che raccontare la scena attraverso il mio modo di fare fotografia, chiedendo loro di scegliere un luogo e un oggetto che raccontasse il proprio incontro con il punk, potesse permettermi di avvicinare ciò che dell’artista e del poeta attraversa le loro vite, oltrepassando così un immaginario che per quanto mi riguarda è assolutamente riduttivo circoscrivere a performance animalesche, calze a rete, birre e bestemmie. Ci tengo molto a sottolineare questo punto che ovviamente mi riguarda ed è una delle chiavi attraverso cui ho sviluppato il progetto. Scegliere il termine PUNKCORE mi ha permesso di raccontare l’eterogeneità che fortunatamente fa sì che suonare e ascoltare punk hardcore non sia una faccenda di abito e conformità a uno stile. Chiunque può suonare e ascoltare punk hardcore! Non è il modo in cui appari a definire la spinta che ti avvicina alla scena. Credo che nel momento in cui in una comunità come questa, l’immagine diventa il mero segno di un’appartenenza e lo slogan sostituisce l’apertura che dovrebbe sempre preservare la forza e libertà di pensiero, beh dovremmo allora interrogarci sul se abbia ancora senso connotarla con il termine punk. Ecco perché ho scelto per la serie il termine PUNKCORE, volevo andare al di là della significazione legata ai termini punk ed hardcore, e raccontare invece in che modo ciascuno di loro, attraverso la singolarità e quotidianità delle proprie esistenze, ha puntato dritto al cuore del punk, declinando sedizione ed eversione. Perché poi sottolineo con fermezza che PUNKCORE sia decisamente un racconto erotico? Beh, nel senso letterale del termine che rinvia a un rapporto con il desiderio e con l’amore. Nella realizzazione di ciascuna sequenza ho domandato loro la storia che c’era dietro la scelta di quel luogo e di quell’oggetto, e soprattutto cosa volessero che io cogliessi attraverso il mio modo di guardarli. Le due chiavi che mi hanno permesso di costruire la narrativa degli scatti sono l’eroe e il femminile. PUNKCORE è un progetto erotico in quanto ciascuno è ritratto nel rapporto che intrattiene con il proprio desiderio di essersi detto a un dato punto della vita, punk. Ogni foto parla di poesia, cultura, visione, tenacia. PUNKCORE tratta il desiderio che ha spinto la vita a una scelta e a un messaggio. In questo modo l’immagine delle band sul palco, lascia spazio ai corpi e alle storie singolari di esseri umani decisamente non convenzionali. Ci sono molti modi per provocare un’azione. Io sono profondamente annoiata da una narrazione greve che fa del brutto e del turpe la sola cifra di un messaggio che per essere efficace e colpire, necessariamente deve offendere, turbare o oltraggiare. Nei testi di queste band c’è molto altro: ricerca, riscatto, irriverenza, sarcasmo, filosofia, poesia, politica, volevo che tutto questo potesse inoltrarsi cogliendo la dimensione più privata dei musicisti che ho incontrato. Volevo far emergere il femminile come ciò che abita la traversata faticosa e impervia dell’eroe. Dove ho concentrato tutto questo? Nell’intensità dei loro sguardi! Non c’è per me erotismo più dirompente di occhi persi altrove ed estasi suscitate dal desiderio che abita la forza propulsiva di ogni processo creativo.

Punkcore, un progetto fotografico di Siren Deti
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In un percorso temporale inverso, dopo aver parlato del nome, ora parliamo di quando e perché nasce in te il desidero di realizzarlo. Come nasce il germe artistico primordiale di PUNKCORE?
Ho desiderato scattare una serie ritratto sulla scena punk hardcore romana sin dal 2018, anno di fondazione di Siren Deti. All’epoca sapevo che se avessi deciso di raccontarmi attraverso l’invenzione di un progetto creativo, non avrei mai potuto farlo senza un riferimento chiaro all’impatto che il punk ha avuto sulla mia vita. Mi era tuttavia chiaro che per ingaggiarmi in una serie fotografica sul punk a Roma, l’impresa mi avrebbe richiesto di aspettare il giusto tempo. Avrei dovuto consolidare Siren, conquistare una credibilità, essendo semplicemente una donna coriacea con il desiderio forte di dare forma ed espressione al proprio mondo interiore. La costante operazione messa in campo, una serie fotografica dietro l’altra, ricorrendo solo al mio sguardo, agendo gli atti performativi e restituendo la mia esperienza del femminile attraverso le mie visioni su carta, muovendomi nell’arte in modo indipendente, estranea a qualunque formazione accademica, chiesa, setta, dottrina e mecenatismo, incontrando il supporto e riconoscimento della scena e cultura queer ed underground, mi hanno permesso col tempo di trovare la chiave per raccontare in modo inedito, un mondo, quello del punk, a cui non ho mai scelto di appartenere in termini di comunità perché da sempre refrattaria a identificarmi con altri all’interno di un gruppo ma che ho saputo fare mio nel modo in cui ho orientato le scelte della mia vita sottraendola al servilismo e al compromesso. Nel marzo 2023, comincio a contattare storici componenti di band importanti per Roma e inizio a ricevere i primi no. Non c’era intenzione di farsi fotografare ma disillusione sull’attualità del punk, e la mitizzazione di un tempo perduto. Tuttavia nessuno di loro mi ha mai scoraggiata dal provarci e in effetti alcuni di loro nel corso di questo anno, sono rimasti miei interlocutori, permettendomi di spingere avanti questo mio desiderio di ricerca e racconto. Ovviamente dietro la macchina fotografica, una compatta 20 megapixel, c’è Siren Deti e la riconoscibilità del progetto è data dalla natura degli sguardi. Il mio modo di vivere la fotografia è sempre mediato dal godimento e dal perturbante. È a queste due dimensioni del desiderio che chiedo di pensare. Non mi importa di sapere a cosa ciascuno di loro pensi mentre li ritraggo. Mi sincero solo che ci pensino intensamente ovvero che pensino al sesso e/o a una pagina di orrore personale. È la mia esigenza di catturare questo sguardo che rende erotico il ritratto ovvero letteralmente l’istantanea del momento in cui ciascuno entra in contatto con una dimensione altra. Nessuno di loro, di fatto, guarda mai me o la camera. Ciascuno, in un proprio modo, è spinto da me a travalicarmi e a guardare oltre in modo che così accada di sentirsi anche a chi guarderà la foto una volta stampata.

Punkcore, un progetto fotografico di Siren Deti
© Siren Deti

La scena punk e hardcore, così come qualsiasi altra sottocultura, hanno un qualcosa di ermetico per i non adepti. Il vissuto, i concerti che hai visto, i gruppi che ascolti e anche l’abbigliamento, hanno generato tanti sottogruppi. Tu hai scelto di non appartenere a nessuno gruppo o sottogruppo della cultura underground musicale, questo ha inciso nell’accoglienza e/o fiducia che i soggetti da te scelti ti hanno riservato?
Sono sempre stata consapevole delle difficoltà che avrei incontrato e dell’impresa non semplice in cui mi stavo cacciando. Da subito mi è stato chiaro che avrei dovuto presentare la forza di questo progetto attraverso la prospettiva aliena di Siren Deti che amo racchiudere nella formula «NIENTE È PIÙ EROTICO DELLA PAROLA». Il progetto avrebbe infatti raccontato band della scena romana che scrivono i testi in Italiano. Il rapporto con la lingua e con la significazione è centrale in tutta la mia ricerca creativa. Dalle foto, ai disegni, agli atti performativi, la parola è sempre lo strumento attraverso cui il mio modo di costruire l’immagine trova un codice di interpretazione possibile. PUNKCORE non è solo un progetto fotografico ma anche didascalico. È questa mia premura nell’aver avviato una ricerca delle band in funzione della diversità di scrittura dei testi e del messaggio veicolato che mi ha orientato nella scelta dei concerti e degli eventi a cui andare. Non nascondo di aver incontrato molta diffidenza perché non appaio con una estetica riconducibile all’immaginario della ragazza skinhead, punk, dark. In alcune situazioni mi è stato anche sottolineato e detto esplicitamente. Ho trovato la cosa assurda, e il solo modo di replicare a un atteggiamento simile che per me non ha proprio niente a che fare con il punk ma è sintomo della ristrettezza e distorsione tipica di tutte le logiche comunitarie a forte spinta identitaria, è stato testimoniando la mia cultura musicale e il farmi conoscere per il fatto, a me assolutamente chiaro, che il potersi dire punk dipenda più da quello che agisci nella vita che dal colore dei capelli, da come ti trucchi o da quante borchie e catene hai. Credo che nel 2024 sia piuttosto obsoleto credere che nella società dell’immagine l’efficacia di una provocazione risieda ancora nel veicolare contenuti grevi associati a una estetica disturbata. Sicuramente impattare con una resistenza di questo tipo mi ha molto delusa rispetto all’ideale adolescenziale nutrito all’epoca nella mia Valle, ma ha solo rafforzato l’intenzione di bucare la scena e affermare la forza del progetto con ancora più determinazione e coraggio. FEROX, LA CROCE, 612COMMA2, MALAMOVIDA, SLEAZY BAR, THE BONE MACHINE, ROTTEN INC, GASSE, NO MORE LIES sono stati i «SÌ» che ho ricevuto senza alcuna esitazione. Ringrazio ciascuno di loro per aver creduto nel mio sguardo. Loro sono il mio PUNKCORE!

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Hai mai pensato di lasciar perdere o il desiderio di immortalare le anime punk è stato più forte?
A sfinirmi, dopo magari mesi che ero in dialogo con una band, è stato, in diversi casi, il non aver mai ricevuto una risposta affermativa o negativa rispetto alla partecipazione al progetto. Tuttavia nella mia vita non ho mai permesso a qualcosa o a qualcuno di ostacolare la realizzazione del mio desiderio, figuriamoci quindi se una mancata risposta avrebbe potuto fermarmi dal portare avanti un racconto come PUNKCORE che, non è un mistero, racconta anche me!

Punkcore, un progetto fotografico di Siren Deti
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Quando hai iniziato a ricevere i primi si, cosa hai pensato?
Che nella scena c’era più desiderio di quanto immaginassi di un racconto che facesse a meno dei personaggi e desse invece valore alle storie e alle persone. Ciascuno di loro mi ha invitata a stare sulla soglia del loro privato per fissarne con discrezione un dettaglio. La generosità con cui mi hanno permesso di accedere a una pagina della loro storia è la cifra di cui le foto desidero fortemente che riescano a testimoniare.

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L’immaginario comune delle fotografie di gruppi o cantanti punk di solito è abbastanza stereotipato. Il tuo intento invece è stato di dare una chiave altra di lettura. Più intima. Come sei riuscita ad entrare in empatia con le persone fotografate?
Ho voluto raccontare l’altra faccia del punk, e per farlo l’ho decontestualizzato dalla semplificazione immaginaria a cui siamo abituati. Invitarli a scegliere un luogo e un oggetto della propria quotidianità, legato al punk, mi ha permesso di avvicinarli al progetto attraverso le due dimensioni del ricordo e del familiare. Il racconto di una pagina della loro storia ha segnato il tempo inaugurale che precede l’istante dello scatto. Siren Deti poi è improvvisazione. Chiunque abbia partecipato ai miei progetti può testimoniare che c’è del contingente che inevitabilmente entra in gioco e rende l’esperienza divertente. Spesso gli stessi passanti restano attratti da quello che stiamo facendo e diventano parte di quel momento. Questa ilarità caratterizza la fase che precede la costruzione hic et nunc dello scatto che diventa di fatto una invenzione a due. Sicuramente il momento più delicato è quello in cui per raggiungere l’intenzione che ricerco nello sguardo, chiedo di pensare al godimento e al perturbante. C’è chi riesce immediatamente ad entrare in contatto con il proprio altrove, e chi magari, incontrando più difficoltà, necessita che io orienti in modo più preciso e diretto il pensiero muovendo i corpi in modo da disporli verso ciò che voglio ottenere. Sicuramente questo è il momento in cui nel ritratto entro più in contatto con l’intimità dell’altro senza che ci sia disvelamento della fantasia o della visione su cui spingo a concentrarsi.

Punkcore, un progetto fotografico di Siren Deti
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Le fotografie non hanno una post produzione o filtri. Sono impulsive, senza fronzoli. Come il punk. Scelta stilistica o non scelta stilistica che dir si voglia, pensata o decisa sul momento dopo i primi scatti?
Questa è semplicemente la cifra di Siren Deti. Nel 2018 ho fondato la mia ricerca fotografica come incursione metropolitana che rifiuta il professionismo e l’artefatto. Tutto all’epoca è cominciato dalla mia urgenza personale di affermare che la forza dello sguardo oltrepassa la
potenza di qualunque mezzo. Ad oggi, questa resta la scelta che continua a rendere la mia fotografia sincera e riconoscibile.

Punkcore, un progetto fotografico di Siren Deti
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Ritorniamo alla prima domanda. Punk ed erotismo. Come si coniugano?
Come ti accennavo all’inizio, PUNKCORE si sviluppa attraverso due chiavi: il femminile e l’eroe. Volevo che questa serie ritratto fosse un racconto romantico proprio nel senso del Romanticismo tedesco, tempesta e assalto! Volevo testimoniare di come si possa suonare e ascoltare punk senza necessariamente doversi conformare a un certo tipo di rappresentazione stereotipata di cui è alimentata una visione esasperata che confonde il punk con un atteggiamento che invece, senza usare troppi eufemismi, è semplicemente volgarità ed eccesso.
Dunque, come fare? Siren Deti è da sempre un progetto che fa dell’erotismo la cifra di ogni sua provocazione, chi mi conosce sa quanto Moana Pozzi ha profondamente ispirato la mia visione. Da piccola restavo sveglia fino a notte fonda per guardare le sue interviste in televisione, mi affascinava quella voce e quello sguardo capaci di bucare il mondo intellettuale e politico su un punto molto preciso.
L’erotismo è una cosa stupenda mentre lo squallore abita la volgarità e quello che lei con grande semplicità e acume, definiva l’«agire brutto». Beh, quando ho preso a lavorare su PUNKCORE non mi sono riconosciuta affatto, in quanto donna che ascolta il punk e ha trovato il modo di declinarlo nella propria vita in termini di scelta, in quella che è la narrazione particolarmente imperante nell’immaginario tipico che attraversa la scena. Mi sono così ostinata a voler trovare una musicista che si ponesse in un modo completamente diverso e distante da quello che stavo incontrando. In un concerto al Forte Prenestino l’ho intravista la prima volta e mi ha colpito subito per il fatto che pur avendo una estetica conformemente punk rivelasse invero qualcosa di molto singolare nel suo modo di porsi, impressione che ho poi confermato molti mesi dopo quando l’ho vista suonare il basso sul palco del Bencivenga Occupato. Lei era giusta per quello che con PUNKCORE volevo testimoniare e di fatto ho scelto fosse la sola donna che mi interessasse ritrarre per il progetto. Quando ho realizzato i suoi scatti ad Ostia, Greta si è presentata indossando un maglione e subito parlandole, ho capito che il suo ritratto sarebbe stato la mia occasione di raccontare cosa è questo femminile di cui tanto parlo. Il suo sguardo scoperto dentro a un corpo coperto è l’erotismo perforante che perseguo in tutto quello che faccio. Come ti dissi in occasione della prima intervista che mi hai dedicato nel 2018, Enrico, per me l’erotismo è nella provocazione dell’intravisto e non nella rappresentazione dell’esplicito.

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Cosa ti ha sorpreso di più delle persone ritratte? O quali conferme ti aspettavi di trovare ed hai
ritrovato?
Ciascuno di loro, una volta superata una iniziale timidezza, si è aperto a questo racconto e ha semplicemente confermato con la propria presenza, la significazione di PUNKCORE. Ho incontrato gentilezza e fiducia. Con alcuni di loro è nata una profonda amicizia, e un legame di stima reciproca. Il modo in cui sono stata accolta nelle sale prove mi ha sempre fatta sentire a mio agio e a casa. Il progetto ha infatti documentato anche quei momenti che sono stati per me particolarmente significativi per cogliere l’attitudine di ciascuno ma soprattutto il loro modo di fare musica insieme.

Punkcore, un progetto fotografico di Siren Deti
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C’è un personaggio che ti sarebbe piaciuto e che ti piacerebbe fotografare ma al momento non ci sei riuscita? Se sì, perché?
Per l’assoluto riconoscimento e affetto con cui ho sentito pronunciare il suo nome così tante volte nei racconti, nelle storie e nei ricordi delle molte persone che ho incontrato durante questo anno, l’unico che avrei sicuramente tenuto a conoscere e fotografare, se fosse stato possibile, sarebbe stato Roberto Perciballi dei Bloody Riot.

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Qual è l’animo con cui una persona dovrebbe vedere questi scatti? Cosa ti piacerebbe far rivivere a chi ammira le foto del progetto Punkcore?
PUNKCORE è un invito ad andare oltre l’apparenza, a non avere pregiudizi e ad essere curiosi. In pratica è quello che ho chiesto io alla scena ovvero di essere curiosa e senza pregiudizio nei confronti di Siren Deti.

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Cosa invece ti piacerebbe “sentisse” chi è stato fotografato e ora si rivede nelle tue foto?
Ci terrei che ciascuno di loro ripensando a questa esperienza, sorridesse dei minuti condivisi insieme e si riconoscesse nelle mie foto in quella che mi piacerebbe aver catturato come la versione più autentica e al contempo inedita di sé stessi.

Punkcore, un progetto fotografico di Siren Deti
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Sabrina, grazie ancora per avermi concesso di realizzare questa intervista con te. Un’ultima domanda. Sai già dove, chi ci legge, potrà ammirare il tuo progetto fotografico? Ovviamente oltre alla selezione di foto che gentilmente mi hai concesso di pubblicare sul sito.
Il desiderio è di riuscire a portare PUNKCORE in più luoghi estranei alla cultura punk. Il valore di questa serie è di una testimonianza che vuole dialogare con chi non ha idea di cosa il punk hardcore sia metafora. La sfida è che il progetto possa bucare il più possibile luoghi permeati da altri discorsi e immaginari. Credo fermamente che la vera forza dell’arte sia quella di rendersi popolare e itinerante. Attualmente la mia urgenza è incontrare lo spazio giusto, in grado di fare da cassa di risonanza a questi corpi e a questi occhi che tanto in questo anno mi hanno fatto desiderare.

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Biografia Siren Deti

Siren Deti, classe 1984, è un’artista autodidatta. Dal 2018, muove la sua ricerca creativa tra fotografia, disegno, e atti performativi. Al centro della sua indagine, il femminile si sviluppa come apertura beante che eleva l’umano all’altezza di quanto più ambisce e al contempo profondamente teme ovvero il suo desiderio più pregnante. A Giugno 2023, la serie di macrotavole, pastelli e inchiostro su carta, “EAT YOUR DASEIN”, viene selezionata da CRACK festival come uno dei progetti cella allestiti a Roma presso il Forte Prenestino. Lo scorso 08 Marzo, Siren Deti è stata tra le artiste protagoniste della 4° edizione del Bikini Kill Festival a Catania, con l’atto poetico “AMORSUI”. Il 22 Marzo, Andrea Acocella curatore dello spazio queer di arte contemporanea e cultura indipendente bar.lina sceglie “CORPUSDOMINAE” come progetto performativo, anticamera della ricerca tutta al femminile che bar.lina sta conducendo sul FEM. Dal 20 al 23 Giugno 2024, Siren Deti sarà di nuovo tra gli artisti della prossima edizione del CRACK festival con il progetto “FIÈRA”, una serie di tre arcani che gioca sulla doppia significazione del termine che rinvia da un lato al sostantivo aulico riferito alla ferocia degli animali selvatici, e dall’altro, all’aggettivo che connota la natura audace e intrepida di essere umani non disposti a cedere su ciò in cui fermamente credono. Il prossimo 06 giugno 2024, Maloglitterbar ospiterà al Pigneto, “EROTICA DEL TEMPO”, la formula di un incantesimo che Siren Deti agisce portando in scena
l’immagine mitica del corpo di sirena come avvento di quel solo mistero di cui Moana Pozzi, Richard Burton, Gala, Sibilla Aleramo, Jacques Lacan, Emily Brontë, Salvador Dalì, ed Elizabeth Tylor con le loro vite testimoniano, e di cui forse potremmo ancora dirci i custodi in un’epoca tristemente persa tra esibizionismo, squallore ed effimero.


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