“Non creo immagini per far eccitare gli uomini. Sono eccitata dagli uomini. E dalle donne. E dalla mia immaginazione. Creo immagini che sono delle odi a vivere la propria sessualità, corporalità e identità di genere, qualunque essa sia, liberamente, secondo il proprio gusto e i propri ritmi”. Sandra Torralba
Precoce, irriverente, sensuale, divertente. Sandra Torralba ci ha conquistato così, con i suoi scatti unici e la sua estrema simpatia.
Fotografa madrilena, scatta le sue prime foto all’età di sette anni. Fu il padre a regalarle la prima macchina fotografica. A 11 anni inizia a realizzare fotografie più ricercate e a 12 realizza il suo primo autoritratto sensuale, che per anni ha custodito gelosamente nel suo diario. Ha sperimentato di tutto, dalla scrittura alla danza, passando per la recitazione e il trucco. Ma la sua vita sembrò prendere tutt’altra piega. Dopo aver studiato medicina e psicologia diventa terapista e assistente sociale. Il sesso, la sessualità e la corporeità sono temi fondamentali per lei, al punto da diplomarsi in terapia sessuale. In questi anni di studi realizzò il suo autoritratto “self portrait 01”. La scintilla è scattata lì, quella fu l’inizio della sua carriera artistica. A 23 anni chiese al padre di acquistarle la sua prima reflex e, per la fortuna di tutti noi, riniziò a scattare di nuovo. Ebbe un notevole successo su Flickr raggiungendo 2 milioni di visite. Da allora non si è più fermata. Ora apriamo mente e cuore, facciamoci avvolgere dalle parole di Sandra Torralba e dalla sue splendide fotografie. Buona lettura.
Domanda. Sandra, grazie per il tempo che ci hai concesso, è da tanto che ti seguiamo e siamo felici di poterti finalmente intervistare. Quando è stata la prima volta che hai scattato una fotografia? E che sensazioni hai provato?
Risposta.È stato mio padre a regalarmi la mia prima macchina, quando avevo sette anni. Con quella riprendevo soprattutto gli animali: ricordo benissimo che la metà delle immagini erano sfocate, e l’altra metà inquadrate male. Così mi sono messa d’impegno per migliorare.
Il mio primo lavoro “intenzionale” era una breve storia fotografica sulla psicosi. Ho cominciato a fare questo tipo di lavori intorno agli 11 anni. E poi a 12 ricordo di aver realizzato il mio primo autoritratto sensuale. L’ho nascosto nel mio diario e per anni me ne sono vergognata.
Dopo ho sperimentato molte cose: ho provato a scrivere dei libri, ho recitato, fatto il trucco, danzato. Ma a un certo punto, quando avevo 19 anni, ero in Egitto e ho comprato diversi rullini di pellicola e ho speso quasi tutti i miei risparmi per svilupparli. Per poi scoprire che erano stati bruciati dai raggi x ai controlli aeroportuali.
Poi, quando studiavo medicina, ho realizzato un progetto sui pazienti con problemi mentali, ma a metà lavoro mi si è rotta la macchina e ho dovuto buttar via stampe e negativi. È stato lì che la mia creatività è stata messa alle strette. Ogni tanto ripenso a come tutto è cominciato: quando ho scattato il mio autoritratto “self portrait 01”. La scintilla è scattata lì, credo sia quello l’inizio della mia carriera artistica. Avevo 23 anni e chiesi a mio padre di avere la mia prima reflex. Lui me la comprò e cominciai a scattare di nuovo. Ho aperto un account flickr e ho raggiunto i 2 milioni di visite o giù di lì. È stato un gran divertimento.
D.Hai scelto di lasciare il tuo precedente lavoro, quello di psicologa, per dedicarti alla fotografia. Immaginiamo che in molti ti abbiano chiesto il perché. Te lo chiediamo anche noi, cosa ti ha fatto scattare la voglia di cambiare?
R.È andata così: ho lasciato gli studi di medicina al terzo anno, per studiare sociologia del lavoro e contemporaneamente ho conseguito un diploma in studi di genere e un altro in terapia sessuale. È tutto interconnesso. Ho scritto una tesi sulla prostituzione di strada per il primo diploma e un saggio chiamato “note su genere, sesso e corporalità” (che è poi diventato il soggetto principale del mio lavoro). Grazie agli studi di terapia sessuale ho aperto la mia mente e superato le mie paure. Nel 2003 io e il mio ragazzo ci siamo trasferiti in Inghilterra dove mi sono iscritta a un master di consulenza umanistica e allo stesso tempo ho continuato a studiare psicologia. Volevo diventare il nuovo Freud e per il mio progetto finale ho proposto di studiare il porno attraverso la prospettiva della psicologia evolutiva. L’idea non è stata approvata e quindi ho dovuto virare su un progetto sui sogni. Poi ho cominciato a lavorare come terapista e assistente sociale, ma dopo quattro anni mi sentivo triste e pesante. Tanti miei colleghi si sono devastati facendo questo lavoro e io sentivo che tutto quello che volevo era scattare foto, lasciar andare le mie emozioni e divertirmi. Quindi ci siamo ritrasferiti in Spagna, dove mi sono iscritta a un master di fotografia. Non credevo che avrei lasciato la psicologia, ma poi la fotografia ha preso il sopravvento.
D.Hai un diploma in terapia sessuale, e la sessualità è un aspetto spesso presente nelle tue foto. Cosa c’è dei tuoi studi nelle tue foto?
R.Essere una psicoterapeuta significa essere abituati all’autoanalisi. Quindi mi scruto dentro e trasformo i miei pensieri e sentimenti in immagini. Il mio lavoro mi porta dove ho degli interessi. Non solo sesso, ma anche generi, corporalità, emozioni e fantasie. Tutte tematiche che ho affrontato anche a livello accademico, che ora invece rielaboro in chiave creativa. Ma i miei interessi rimangono sempre quelli. Nella fotografia, poi, cerco di comportarsi come fa un terapista con il suo paziente: mi pongo una domanda e con quella cerco una connessione con l’osservatore.
D.Nel 2018 come credi sia il rapporto delle persone con la sessualità e il sesso? E com’è il tuo rapporto con il sesso?
R.Uno dei miei ultimi lavori, “Self portrait with husband”, riporta questa didascalia, che riassume perfettamente il mio rapporto con il sesso. «Sono una donna. Amo gli uomini. E me stessa. La maggior parte delle volte. Il mio lavoro è un’ode alle donne che amano gli uomini e le donne e loro stesse, la maggior parte delle volte. Alle donne che amano loro stesse così tanto che possono dire liberamente di amare gli uomini. O chiunque. Anche loro stesse».
Non creo immagini per far eccitare gli uomini. Sono eccitata dagli uomini. E dalle donne. E dalla mia immaginazione. Creo immagini che sono delle odi a vivere la propria sessualità, corporalità e identità di genere, qualunque essa sia, liberamente, secondo il proprio gusto e i propri ritmi.
Odi a esprimere e ricevere i propri desideri sessuali apertamente e manifestamente, senza vergona e senza nascondersi.
Odi ai corpi. Con le loro perfette imperfezioni e le loro sfumature di grigio. Corpi integri, con fluidi, odori e peli. Corpi che invecchiano, che ci portano all’inferno e al paradiso. Per cui vale la pena morire.
Odi al sesso: con le sue implosioni e le sue asincronicità
Odi al genere. Alla sua fluidità e alla sua redefinizione dei confini
Odi alla vita e ai sentimenti, soprattutto.
Per rispondere più precisamente alla vostra domanda, mi rapporto al sesso così come lo faccio con la vita. Voglio viverlo al massimo delle mie capacità, nutrirlo e aiutarlo a crescere, mettere alla prova i miei limiti ed esplorare dove possono portarmi. Più intenso e appassionato è, meglio è.
In termini di visual media credo che la nostra era abbia permesso alla sessualità di crescere enormemente, ma senza un pensiero critico alla base. Amo la libertà di espressione, ma nel mio lavoro metto sempre il mio punto di vista critico. E credo che sia gli uomini che le donne possano essere ritratti differentemente.
Voglio permettere anche agli uomini di essere oggetto di desiderio sessuale, mi piacciano e trovo che siano desiderabili e belli. D’altro canto le donne sono state considerate sessualmente desiderabili, ma non in maniera empatica. Le amo così come sono e per questo non modifico mai il mio corpo nei miei scatti. Sono lì con le mie ferite, le mie cicatrici, le mie mestruazioni e i miei difetti.
Per cui, uno dei miei obiettivi, nella vita, nel sesso e nel mio lavoro fotografico è abbracciare la nostra animalità e umanità. I nostri peli, i nostri odori, i nostri fluidi, l’età che avanza e la nostra bellezza imperfetta.
D.Erotismo e pornografia. Parole che a volte camminano su due linee parallele ma che spesso s’intersecano. Cos’è per te l’erotismo e cosa la pornografia?
R.Si intersecano e si attraversano. La linea che le separa, per me, è molto sottile, ma quello che è porno per altri me può essere erotismo super soft per me. Credo che l’erotismo sia più relativo al richiamo sessuale, e la pornografia riguardi l’atto sessuale vero e proprio, preliminari compresi.
D.Uno degli aspetti che ci ha fatti innamorare dei tuoi lavori è l’ironia. Alcuni tuoi scatti e progetti sono molto divertenti. In ”The Ideal Man (2008) “ hai descritto in parodia le delusioni amorose, in “The spleepy People” (2008) l’attenzione si sposta su come la vita a volte ci scorre davanti sottolineando il nostro essere addormentati. Hai sempre avuto questa dote di analizzare la vita con umorismo?
R.No (dice ridendo), non ho sempre il dono di essere divertente e non sempre prendo la vita con humour e leggerezza. Infatti possono essere molto drammatica ed emozionale, ma adoro l’umorismo e mi annoio a morte quando non c’è. Credo che gli argomenti possano essere affrontati da un punto di vista drammatico, ma non è né interessante, né necessario. L’umorismo allenta la tensione, si può parlare delle stesse cose senza buttarla in tragedia. Io ci provo. Ci provo sempre a trovare il lato ironico per le mie immagini. L’agrodolce è più vicino alla realtà del dramma. La verità è che nei momenti più tragici della mia vita e ho riso e pianto allo stesso tempo.
D. Il progetto grazie al quale siamo entrati nel tuo mondo fantastico è “Estranged Sex“, progetto ancora in essere in cui i tuoi scatti mostrano una sessualità strana, naturale ma al tempo stesso estraniata dal contesto in cui viene immortalata. Com’è nato è cosa significa per te questo progetto?
R.È quasi cominciato da solo. Stavo seguendo i master in fotografia e uno dei docenti ci diede il compito di fare un autoritratto sensuale per il giorno dopo. Ero emozionata, era il momento che aspettavo. Ho scattato quattro immagini e una di questa poi è diventata “Estranged Sex”.
In questa prima immagine volevo dimostrare che le donne possono fruire del porno, che sia o meno hardcore, ma non volevo solo ritrarre qualcuno che guardava un film porno. Sarebbe stato poco ironico e interessante. Volevo apparire goffa, strana, così da dare un tono erotico, ma allo stesso tempo bislacco all’immagine.
Ho pensato che attraverso la sensazione di estraniamento avrei sollevato delle domande più che dare delle risposte, proponendo all’osservatore un argomento e permettergli di giudicare e valutare. Così sono passata da “una ragazza guarda un porno” a “che cavolo ci fa questa ragazza a guardare un porno mentre si depila le gambe? È strano, ma davvero lo guardano così?”
Ho capito che c’erano molte cose da dire, così ho continuato a lavorare sul “sesso estraniato” e su come le cose che crediamo vicine (sesso, genere, i nostri corpi) siano diventate estraniate, alienate, distanti, sconosciute. Ho cominciato a lavorare sulla “rarificazione” di quello che era considerato naturale e sulla normalizzazione di quello che la nostra società ha fatto diventare raro. Ogni immagine racconta una storia, ha un lungo discorso dietro, ma in finale le immagini pongono delle domande per cui non ho risposta, se non per me stessa.
“Estranged Sex” è il mio lavoro più elaborato e sofisticato sia tecnicamente che in termini di messaggio. Lo adoro, e mi diverte tanto, ma la sua produzione è cresciuta così tanto ed è diventata così complessa che solo di tanto in tanto riesco a creare nuove immagini. Proprio per questo ho altri progetti più emozionali e crudi, dovo posso andare più veloce e sviluppare idee più semplici.
D.Visitando il tuo sito ci siamo imbattuti in “The Crisis”. Nessuna descrizione, nemmeno un anno di riferimento. Nelle foto ci sei tu, ed hanno una forte carica erotica. Cosa ci racconti di questo progetto?
R.Nel 2008 scoprii che la fotografia e gli sport aerei che praticavo erano le uniche cose che riuscivano a calmarmi, oltre alla vita di famiglia. Ho bisogno del loro amore, ma per essere pienamente felice mi serve la fotografia e gli sport.
Dunque, “Crisis” è un mio lavoro molto recente, su cui ho cominciato a lavorare quest’estate. Citando Jean Luc Godard ”sono immagini che dicono quello che le parole non dovrebbero mai spiegare. “
Mio padre morì nel novembre del 2016. Ero già in crisi prima del suo addio. Con due bimbi, uno di 4 e uno di 6 anni, avevo la sensazione di non sapere dove fossero finiti gli ultimi 6 anni della mia vita di coppia. Con la maternità la fotografia e lo sport erano in stand by e la morte di mio padre mi ha scavato un buco nero dentro.
All’inizio, dopo la sua morte, mi rifiutavo di imparare qualsiasi cosa. Poi ho realizzato una cosa che a molti può sembrare ovvia: quello che non fai ora potresti non farlo mai più. E quindi non potevo più aspettare a fare quello che volevo: essere me stessa, provare qualcosa. E volevo sentire passione, farfalle, rabbia, desiderio, tutto, purché fosse intenso. Volevo essere divorata dalla vita. Sentivo disperazione, desiderio, eccitazione e tristezza tutti insieme. Ero in crisi.
Da questa situazione sono nati tre progetti: “L’Isola che non c’è”, ispirato da una canzone di Edoardo Bennato che mio padre mi cantava da bambina. Credo che papà ora sia lì e non smetterò mai di cercare quell’isola. Poi ho realizzato “The butterfly cage” che rappresenta la sensazione di essere intrappolati e voler scappare, esplodere, volare, espandersi, semplicemente essere.
Infine “Crisis”, un progetto “indoor”, più introspettivo, che va nella stessa direzione degli altri due, ma ha più collegamenti con il sesso.
D.Con i mezzi che sono ormai di comune uso, le fotografie e i fotografi si sono moltiplicati in maniera esponenziale. Tra tutti questi artisti ci consiglieresti tre nomi di fotografi che ti piacciono particolarmente? E altri tre invece che ti hanno in qualche modo ispirato?
R.Eugenio Recuenco. Un fotografo spagnolo. È brillante, delicato. E la profondità del suo mondo mi stupisce sempre. Steven Klein, un fotografo di moda americano che cambia sempre stile. Non fa mai qualcosa di identico a quello che ha già prodotto. Provo molta ammirazione per lui.Flora Borsi. Le sue abilità tecniche sono incredibili, ma quello che mi ipnotizza di lei è la sua immaginazione.
D. Sandra, ci congediamo da te, con un ultima domanda. E’ iniziato da poco un nuovo anno, cosa ti auguri da questo 2018? hai nuovi progetti in cantiere?
R.Sono felicissima perché da un periodo critico è uscito fuori un momento di grande creatività, cerco di godermelo al massimo. Ho mille idee, i miei taccuini sono pieni di disegni e appunti. “Estranged Sex continuerà, presto vorrei finalmente girare una breve piece di video art (sono sei anni che l’ho in mente, ora è il momento di farlo) e ci sono diverse immagini che vorrei immortalare. Ho trovato finalmente un bilanciamento migliore tra l’essere la madre che voglio, la sessualità di coppia e lo spazio per creare i miei lavori. Tutto quello che mi auguro è che il 2018 continui così.
Contatti:
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