Spectrum, Are we Queer enough? Un progetto di Alberto Branca

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Spectrum
Are we Queer enough?
Un progetto di Alberto Branca

Un viaggio visivo attraverso le sfide legate alla salute mentale affrontate dalle persone LGBTQI+.
L’anno scorso, secondo il rapporto del Trevor Project, Il 60% dei giovani LGBTQ+ ¹ riferiscono di aver subito discriminazioni basate sul loro orientamento sessuale o identità di genere almeno una volta nella vita, e coloro che hanno tentato il suicidio con una percentuale più che doppia rispetto a coloro che non l’hanno fatto.
Questo progetto fotografico esplora le sfide di salute mentale affrontate dalle persone LGBTQI+ trascendendo confini geografici con una serie di ritratti creativi e mira a rivelare le loro esperienze di dolore, resilienza e trasformazione.
Come uno spettro, questo progetto ambisce a dar luce alle molteplicità di lotte che le persone queer affrontano e che, a prima vista, possono sembrare sconnesse tra loro, ma in profondità possono essere legate alla stessa domanda: Sono abbastanza?
Fare coming out è solo il primo grande passo che le persone LGBTQI+ devono fare nella vita, poi inizia una totale ricostruzione della loro vita secondo nuove dinamiche sociali che si scontrano con l’educazione ricevuta. È qui che ognuno inizia il proprio percorso entrando nella comunità e la maggior parte delle volte include parole come anoressia, bulimia, dipendenza da droghe, autolesionismo, autoaccettazione e altro ancora.

Spectrum, are we queer enough?Progetto fotografico di Alberto Branca lgbtq+
● I giovani LGBTQ+ hanno una probabilità quattro volte maggiore di tentare il suicidio rispetto ai loro
coetanei².
● Il progetto Trevor Sondaggio nazionale statunitense del 2023 sulla salute mentale dei giovani LGBTQ
ha scoperto che il 41% dei giovani LGBTQ+ considera seriamente il tentativo di suicidio.

 

 

L’impulso per questo progetto fotografico è nato da una profonda riflessione personale dell’artista.
Identificandosi come gay, ha esperienza diretta delle pressioni sociali e delle aspettative che possono essere imposte alle persone LGBTQ+. Questo viaggio personale ha alimentato il desiderio di scavare più a fondo, comprendere queste esperienze su scala più ampia e portarle alla luce.
Spesso queste storie, in particolare quelle legate alla salute mentale, rimangono nascoste. Attraverso la realizzazione di ritratti artistici, il fotografo mira a rivelare la bellezza e la diversità della comunità LGBTQ+, offrendo un faro di speranza a chi si sente solo.

 

Una mostra itinerante con un messaggio potente

L’obiettivo principale del progetto è quello di dare vita ad una mostra fotografica itinerante che visiterà diversi paesi dove i diritti LGBTQI+ sono a rischio o non sono ancora stati riconosciuti.
Partendo dall’Italia, nel cuore dell’Europa, la mostra toccherà Ungheria e Polonia, con la speranza di allargarsi in futuro ad altre nazioni.
La mostra, progettata per un’esperienza coinvolgente, sarà completata da workshop interattivi condotti da professionisti locali della salute mentale e della fotografia. Queste sessioni informative forniranno informazioni preziose e incoraggeranno il dialogo aperto, creando uno spazio di riflessione e sostegno per la comunità LGBTQ+. Questa importante iniziativa va oltre la sensibilizzazione; cerca di costruire un rifugio in cui le persone LGBTQ+ si sentano identificate e comprese, sapendo di non essere sole nel loro cammino.
Per materializzare questa visione, il fotografo ha lanciato una Campagna Kickstarter. Contribuendo alla campagna, non solo aiuterai direttamente la realizzazione del progetto, ma potrai anche acquistare splendidi ritratti della serie.

Un viaggio coinvolgente nelle identità LGBTQ+

Dal 7 al 9 giugno, Roma diventerà l’epicentro di una profonda riflessione sull’identità e sull’esperienza LGBTQ+ con una prima inaugurazione di una mostra fotografica presso Bar.lina, situato nel cuore del vivace quartiere di San Lorenzo.
Questa mostra inaugurale invita a un viaggio coinvolgente attraverso le storie e le esperienze di individui che sfidano le norme e celebrano la diversità, incoraggiando un dialogo aperto e sincero sulla salute mentale e l’inclusione.
Per un’immersione più profonda nel progetto, esploriamo le coinvolgenti narrazioni di alcune delle persone che lo popolano.

Note:
¹ ( il Progetto Trevor)
² (Johns et al.)

Di seguito alcune delle fotografie del progetto


 

Spectrum, are we queer enough?Progetto fotografico di Alberto Branca lgbtq+
© Alberto Branca

ANONIMO
La sua ricerca di accettazione all’interno della comunità LGBTQIA+ lo ha trascinato in una spirale di disturbi alimentari
Motivato da un profondo desiderio di essere accettato e apprezzato nella comunità LGBTQIA+, ha sviluppato una relazione tossica con il suo corpo e il cibo. Dall’età di 25 anni precipitò in un drammatico declino verso l’anoressia nervosa.
Intrappolato in un circolo vizioso di fame emotiva e autocritica, si rifiutava di mangiare nonostante fosse consapevole del danno che stava causando alla sua salute fisica. Le attività quotidiane, come salire le scale di casa sua, sono diventate compiti impossibili.
Due anni fa, esausto e disperato, ha deciso di cercare aiuto medico. Questa esperienza lo ha portato a comprendere il silenzio che spesso circonda i disturbi alimentari all’interno della comunità LGBTQIA+.


 

 

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© Alberto Branca

ANONIMO
A 17 anni, la vita di questo giovane colombiano ha preso una svolta inaspettata. Con ammirevole coraggio, decise di intraprendere un programma di studi indipendente in Russia, trasferendosi nella città di Rostov. Nonostante le leggi discriminatorie e il clima ostile nei confronti della comunità LGBTQIA+ nel paese, ha trovato l’amore, un faro di speranza nel mezzo di un ambiente difficile.
La pandemia lo ha costretto a tornare in Colombia, dove ha deciso di trasferirsi a Barcellona con sua madre. In questa nuova città sperava di trovare finalmente un ambiente accogliente e inclusivo dove potersi esprimere liberamente. Tuttavia, le pressioni sociali pervasive a conformarsi a specifici standard di comportamento e bellezza sono diventate una fonte di notevole stress.
Questa pressione incessante ha eroso la sua autostima e il suo benessere psicologico, portando a una preoccupante regressione verso comportamenti autolesionistici. Questo meccanismo di coping disadattivo, purtroppo sviluppato durante la sua infanzia in Colombia, è riemerso come un grido silenzioso di dolore e angoscia.


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© Alberto Branca

CANDY
Fin dalla tenera età di cinque anni, Candy confidò a sua madre che dentro di lei viveva una bambina. Questa sensazione si è intensificata durante l’adolescenza, quando desideravo lo sviluppo del seno e una figura femminile. Tuttavia, la presenza di peli e barba gli causava un
profondo disagio, al punto da procurargli lesioni al volto a causa del grattamento compulsivo.
L’anatomia maschile che le era stata assegnata alla nascita era motivo di vergogna, qualcosa che cercava disperatamente di nascondere.
Nonostante le difficoltà, Candy ha perseverato. Dopo la laurea in pubbliche relazioni, ha lavorato come educatrice sociale, cercando instancabilmente uno spazio per esprimere la sua vera natura.
Un punto di svolta è arrivato quando ha incontrato donne transgender in un centro di incontri. In essi, finalmente, si è vista riflessa, capendo chi era veramente e cosa provava. Inizia così il suo coraggioso e complesso percorso di transizione.
Candy ha avuto l’opportunità di lottare per i diritti della comunità trans in Messico. Ha intrapreso anni di marce, proteste e attivismo politico. La sua tenacia e il suo coraggio l’hanno resa un simbolo della lotta per l’uguaglianza, una figura riconosciuta per il suo instancabile lavoro. Tuttavia, nonostante i suoi successi, Candy dovette affrontare due terribili episodi di violenza, eventi che la costrinsero a lasciare il Messico e a cercare rifugio in Europa.
La sua somiglianza con Frida Kahlo è un riflesso profondo della sua resilienza, una donna che ha sfidato le avversità e il dolore. Come l’iconica artista messicana, Candy porta i segni delle sue battaglie sul corpo, ma rimane alta con il suo spirito intatto.


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© Alberto Branca

 

CONNOR
Nato a New York da genitori cinesi, Connor ha avuto la fortuna di crescere in un ambiente familiare aperto e inclusivo. Lo stile di vita “hippie” dei suoi genitori ha segnato il suo coming out come un’esperienza serena e priva di traumi, un privilegio che molti membri della comunità asiatica non possono condividere.
Contrariamente all’esperienza di Connor, la cultura asiatica presenta spesso ostacoli significativi al coming out a causa della forte pressione sociale legata agli antenati e alle tradizioni. Rompere con le aspettative familiari e ancestrali è considerato un disonore, che spinge molte persone LGBT a reprimere la propria identità e a vivere nel silenzio.
Una delle sfide più profonde che Connor ha dovuto affrontare è il razzismo anti-asiatico. Spesso stereotipato come femminile, debole e piccolo, ha sentito la pressione costante di aumentare la sua massa muscolare nel tentativo di superare questi pregiudizi.
Sul suo corpo, Connor ha scritto parole in cinese. Sul petto a sinistra sono incisi gli insulti più comuni che ha dovuto affrontare, come “non abbastanza”, “fragile” e “paura”. Queste parole rappresentano il peso del razzismo che si è portato sulle spalle.
Al contrario, sul petto destro, ha tatuate parole positive come “orgoglio”, “identità” e “fiducia in se stessi”. Questa immagine rappresenta la sua lotta e resilienza di fronte alla discriminazione razziale, così come il suo percorso verso l’accettazione di sé e la fiducia in se stessi.


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© Alberto Branca


SEBA

Nato e cresciuto in Argentina, Seba ha preso una decisione radicale nel 2018, spinto da un profondo desiderio di cambiamento. Ha lasciato il suo lavoro stabile alle spalle e si è trasferita a Barcellona, una città vivace che prometteva nuove opportunità ed esperienze.
Motivato dal desiderio di essere visibile e accettato in questo nuovo ambiente, Seba ha intrapreso un intenso programma di allenamento fisico. Tuttavia, nel tentativo di accelerare il processo di sviluppo muscolare, ricorse all’uso di steroidi, una decisione che lo fece precipitare in una spirale di conseguenze indesiderate.
Il cambiamento fisico iniziale gli ha dato l’attenzione che desiderava. Tuttavia, questa incessante ricerca di approvazione lo ha intrappolato in un circolo vizioso di dipendenza dai social media e dalla convalida esterna. Il costante bisogno di riconoscimento lo ha allontanato dalla gioia di vivere il presente e di vivere esperienze autentiche.
La sua ossessione per il raggiungimento del corpo perfetto e l’approvazione sociale lo hanno portato lungo un percorso autodistruttivo. L’abuso di farmaci e steroidi ha aggravato il suo stato mentale, facendolo precipitare in una profonda ansia e insicurezza.
Lo ritraggo come un Narciso contemporaneo che emerge dalle profondità della sua battaglia personale. La sua riflessione, distorta e frammentata, evoca l’immagine di un Narciso affondato, riflettendo la profonda trasformazione che ha subito. Intorno ad esso, una profusione di fiori simboleggia la natura effimera della bellezza e la caducità dell’apparenza esteriore.


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© Alberto Branca


GEORGE
Fin dai suoi primi anni, George covava un profondo senso di diversità interiore, un sentimento che lo spingeva a mettere in discussione la sua identità e il suo posto nel mondo. All’età di 14 anni, ha finalmente trovato la chiave per decifrare se stessa: era transgender.
La sua storia, però, assume un significato ancora più profondo se si considera il contesto in cui si svolge: la Sicilia, un’isola ricca di bellezza e di tradizioni radicate, ma ancora legata a schemi e costumi del passato, non sempre ricettiva alle problematiche come l’identità di genere.
L’inizio della terapia ormonale un anno fa ha segnato un passo fondamentale nel percorso di George verso un maggiore benessere psicofisico. La transizione gli sta permettendo di allineare il suo corpo con la sua identità di genere e di sentirsi finalmente più a suo agio nella propria pelle.
La sua paura più grande è non trovare spazio per esprimersi liberamente, essere costretto a reprimere la propria identità per conformarsi ad una società che spesso lo etichetta come “diverso”.
La paura dell’oblio lo accompagna come un’ombra persistente. George desidera ardentemente lasciare un segno positivo nel mondo, essere ricordato per il suo coraggio e il suo contributo alla causa LGBTQIA+.


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© Alberto Branca

FABRIZIO
L’infanzia e l’adolescenza di Fabrizio si sono sviluppate in un ambiente biculturale, navigando tra il vibrante cosmopolitismo di San Francisco e la profonda tradizione di Catania. Queste esperienze formative hanno forgiato la sua personalità eclettica e il suo stile unico, riflessi di una forte libertà individuale.
Il suo recente ritorno a Catania lo ha messo di fronte all’incomprensione e all’ostilità di chi non tollera la libera espressione della propria identità. Di fronte alle avversità, Fabrizio ha scelto di trasformare gli insulti in un potente messaggio di ribellione. Con meticolosa dedizione, ha cucito ogni parola offensiva ricevuta su una maglietta bianca, creando un capolavoro di resilienza e di rivendicazione della propria identità. Questo indumento divenne il suo stendardo, simbolo eloquente della sua lotta contro l’ignoranza e il pregiudizio.



Biografia di Alberto Branca

La Sicilia è la mia terra d’origine, ma Barcellona è diventata la mia città d’adozione e lì ho conseguito la laurea in Fotografia Documental presso l’Institut d’Estudis Fotogràfics de Catalunya. La mia fotocamera è un mezzo per esplorare tematiche sociali, in particolare quelle legate alla comunità LGBTQI+, con l’obiettivo di sensibilizzare e promuovere l’inclusione a un pubblico più ampio. Grazie alla mia ricerca ho avuto l’opportunità di collaborare con diverse organizzazioni e attivisti, realizzando progetti che hanno affrontato tematiche quali l’identità di genere, l’orientamento sessuale o la discriminazione.

Contatti
Sito: albertobranca.com
Instagram: @albe.rtobranca

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